Cari
amici, finalmente è stata fissata la data del voto per il referendum
sulla riforma costituzionale: il 4 dicembre. Proponiamo come secondo
contributo alle ragioni del no un articolo di Francesco Farri, avvocato
del Centro Studi Livatino, pubblicato il 21 settembre da La nuova Bussola Quotidiana.
2. Questa riforma consegnerà l'Italia alle lobby
Negli
ultimi mesi, si sono levate, anche dall'estero, molte voci provenienti
dal mondo dell'economia, della finanza, dei social networks e, da
ultimo, anche della diplomazia, le quali hanno dipinto la riforma
costituzionale italiana come ultima chance per il salvataggio del
sistema Italia. Per converso, il presidente emerito della Corte
Costituzionale, Paolo Maddalena, ha denunciato che «la modifica della
Costituzione serve alle multinazionali, alle banche, alla finanza», a
scapito degli interessi dei cittadini italiani. Di chi fidarsi?
Importanti indicazioni giuridiche per la risposta
possono trarsi in quello che, a riforma approvata,diverrebbe il nuovo
articolo 72, comma 7 della Costituzione. Nel cervellotico quadro dei
nuovi procedimenti legislativi, la nuova Costituzione ne introduce uno
per cui il governo, «indicando» un disegno di legge come «essenziale per
l'attuazione del programma di governo», può in sintesi ottenere dalla
Camera la definitiva approvazione delle proprie proposte entro tre mesi
(giorni 5 + 70 + 5 + 15), prorogabili di due settimane in casi di
particolare complessità. Potrebbe osservarsi: è giusto che in certi
casi sia riconosciuta al governo una corsia preferenziale in Parlamento!
Vero, ma è essenziale l’individuazione di tali casi e degli strumenti utilizzabili
nella corsia preferenziale. I Costituenti avevano ben previsto
l'esigenza di una corsia preferenziale per il governo (il decreto
legge), ma avevano stabilito precisi limiti (effettiva ragione di
straordinaria necessità e urgenza) e conseguenze (responsabilità del
governo e perdita di efficacia fin dall'inizio del testo normativo in
difetto di conversione entro sessanta giorni) della percorrenza di essa.
E il nuovo art. 72, comma 7?
Esso non prevede né apprezzabili limiti di utilizzo, né
conseguenze. L'estrema vaghezza dei termini utilizzati (la essenzialità
«per l'attuazione del programma di governo» appare un concetto
squisitamente politico e, come tale, pressoché insindacabile) e l'àmbito
estremamente ristretto delle esclusioni da tale procedimento previste
in Costituzione (al regolamento della Camera si rinvia, infatti, per la
sola disciplina procedimentale) lo rende sostanzialmente versatile ad
ogni uso, ma anche ad ogni abuso da parte del governo, cosa che invece
la Corte Costituzionale garantiva fosse esclusa per il decreto legge.
Quanto alle conseguenze, appare evidente che - rispetto alla disciplina
del d.l., che pure viene mantenuta - non è qui prevista la
responsabilità del governo né la decadenza del testo normativo se i
termini non sono rispettati.
E se è così, che funzione ha il nuovo art. 72, comma 7?
Proprio questo è il punto. Infatti, se sapientemente combinato con
l'utilizzo della questione di fiducia (senza la quale il meccanismo non
funzionerebbe), esso permette al governo di "forzare" con un blitz il
legislatore ad attuare il progetto presentato dal governo stesso
ottenendo i seguenti “benefici”: (1) minimizzazione della discussione
parlamentare e sacrificio della tutela delle minoranze, garantite dal
normale iter legislativo; (2) aggiramento delle tutele di cui è
circondato il decreto legge; (3) sostanziale impedimento di ogni
mobilitazione contro l'iniziativa governativa da parte dell'opinione
pubblica, che in tre mesi farebbe appena in tempo ad avere notizia di
quello che sta succedendo nelle segrete stanze.
Chi può, al giorno d'oggi, avere interesse a conseguire “benefici” di questo tipo?
Volendo tralasciare le ipotesi più radicali, la risposta appare
semplice: si tratta dei gruppi d'interesse che, operando al di fuori del
circuito di legittimazione democratica e dall'humus dell'opinione
pubblica nazionale, necessitano tuttavia del supporto normativo per
attuare i propri interessi. Si tratta, in altre parole, di quelle che
oggi sono indicate come "lobby". Per definizione, esse si trovano
spesso nella condizione di poter influenzare (e "ricattare"
politicamente) singole persone (come, ad esempio, quelle che siedono in
un governo), ma molto più difficilmente esse si trovano in condizione di
poter direttamente "ricattare" istituzioni come un Parlamento nazionale
o una Corte Costituzionale.
E ciò è vero specie in Italia,
dove il sistema costruito dai Costituenti si è mostrato
estremamente garantista per gli interessi del popolo sovrano e ha creato
una coscienza collettiva forte, matura e capace di mobilitarsi e
opporsi con vigore a iniziative che ha trasversalmente percepito come
estranee all'interesse del Paese. Ecco che il nuovo meccanismo
legislativo dell'art. 72, comma 7, magicamente, fornisce il grimaldello
che alle lobby mancava per annidarsi stabilmente nella legislazione
italiana. Con esso, infatti, il governo non ha più alibi: esso può far
digerire al Parlamento quel che vuole, senza lacciuoli e prendendo in
contropiede ogni forma di rilevante reazione dell'opinione pubblica.
Con esso, si crea un efficacissimo trait d'union
tra persone fisiche del governo ("ricattabili" dalle lobby) e
Parlamento (non direttamente "ricattabile" dalle lobby, ma "ricattabile"
dal governo tramite voto di fiducia), che non permetterà al governo di
sottrarsi dal cappio che le lobby facilmente possono porgli al collo. La
ricattabilità di un primo ministro che voglia salvare la poltrona
diverrà la ricattabilità dell'Italia.
Come brandito dai sostenitori di progetti di legge
invisi a larga parte dell'opinione pubblica, con il nuovo sistema
legislativo una drastica riduzione delle pensioni al pari di una legge
Scalfarotto, una privatizzazione del sistema sanitario al pari
dell'eutanasia per i bambini, potranno esser legge quasi di nascosto,
senza che il corpo elettorale faccia in tempo ad accorgersene e
organizzare manifestazioni di opposizione. Il nuovo procedimento
legislativo incarna la logica del fatto compiuto e la logica del
sotterfugio, molto più e strutturalmente più di quanto avvenga adesso.
Con esso, si istituzionalizza una forma di blitz legislativo che solo le
lobby possono avere interesse a sfruttare. La riforma del procedimento
legislativo è la pesante ipoteca delle lobby sui valori e sugli
interessi dell'Italia.
Riallacciandosi alla domanda iniziale,
quindi, può dirsi che sia i finanzieri stranieri sia il
presidente Maddalena abbiano ragione. Di chi fidarsi, dipende dagli
interessi che vogliono tutelarsi: se vogliono tutelarsi gli interessi
delle lobby della finanza e delle colonizzazioni ideologiche, la riforma
costituzionale è lo strumento migliore. Ma tali interessi contrastano
strutturalmente con gli interessi dei cittadini e con i valori della
nostra Repubblica. E se vogliono salvaguardarsi gli interessi e i valori
degli Italiani, allora una riforma costituzionale di questo tipo merita
di esser spazzata via senza residui. E senza rimpianti: solo con un
gran sospiro di sollievo.
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