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lunedì 31 ottobre 2016

VERSO IL REFERENDUM....... UNA RIFLESSIONE IMPORTANTE

Cari Amici, continuando ad illustrare le ragioni del NO al referendum costituzionale, vi proponiamo oggi questo contributo di Stefano Nitoglia, avvocato del Centro Studi Rosario Livatino, articolo comparso sulla Nuova Bussola il 17 ottobre scorso.

Una semplificazione... complicata

Il primo slogan a sostegno della riforma costituzionale è la semplificazione: che si realizzerebbe grazie al superamento del bicameralismo paritario. È realmente così? È lecito dubitarne, soffermandosi soltanto sul confronto fra l’art. 70 della Costituzione come è adesso, e come sarà se la riforma fosse confermata dal referendum. È la norma che disciplina il procedimento di formazione delle leggi. È evidente la differenza tra la semplicità e chiarezza di essa nella sua originaria configurazione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, e la farraginosità della sua nuova formulazione. Provate a leggerla tutta d’un fiato:

«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.

L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati».

L’ho riprodotta per intero non per torturare il lettore, ma perché dalla sua scelta dipenderà anche la trasformazione del sintetico e inequivocabile testo finora in vigore e questa sorta di “romanzo costituzionale”. Nel merito, come altri su questo quotidiano hanno già sottolineato, è sufficiente ricordare che il nuovo articolo 70, lungi dal sottrarre al Senato tutte le competenze che aveva, gliene lascia tantissime, alcune delle quali assai importanti: il bicameralismo non scompare, viene solo reso più complicato. Con una formulazione così infelice la riforma lascia alla competenza di entrambe le Camere la funzione legislativa sulle leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali – e fin qui è ovvio – e poi attribuisce ulteriori ambiti di intervento, fra cui il recepimento delle disposizioni europee.

Come rileva Giulio Tremonti in un’intervista al “Corriere della Sera del 24 settembre scorso: «La riforma disegna un Senato regionale che sarà chiamato, insieme alla Camera, a decidere delle leggi e i trattati europei. Una camera provinciale che sarà chiamata sull’Europa. Mi dice dove sta la semplificazione?». Per di più, il Senato, con richiesta di un terzo dei suoi componenti, può “disporre” di esaminare anche le leggi emanate dalla sola Camera, la quale ha l’obbligo di trasmettere immediatamente al Senato entro il termine di dieci giorni dalla sua approvazione. E una volta esaminato il testo, il Senato può disporre delle modifiche e rimandarlo alla Camera, la quale può accettarle oppure no. Insomma, non si vede dove sia il risparmio di tempo.

Infine, il penultimo comma del nuovo articolo 70 stabilisce che le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, sono decise d’intesa tra i presidenti di esse Camere, ma non dice cosa succede qualora i presidenti non raggiungano un’intesa, aprendo la strada ad un contenzioso di rilevanza costituzionale dai contorni e dagli effetti non ben definiti.

martedì 25 ottobre 2016

IMPORTANTISSIMO INCONTRO IL PROSSIMO 7 NOVEMBRE ALLE 18 A MODENA


PER UNA ESAUSTIVA E CORRETTA INFORMAZIONE SUL REFERENDUM DEL PROSSIMO 7 DICEMBRE 2016
VI ASPETTIAMO

lunedì 17 ottobre 2016

GRAZIE PRESIDENTE BERLUSCONI


Il 4 dicembre voteremo NO con convinzione
Cari amici,
quella del NO è una battaglia che ci vede impegnati con convinzione e con determinazione. Nelle prossime settimane in tutt’Italia daremo vita ad una serie di manifestazioni per spiegare sempre più a fondo le ragioni del nostro impegno, che è per una riforma vera, profonda, radicale delle nostre istituzioni. Una riforma, quella che abbiamo in mente, molto diversa da quella imposta dal Governo al Parlamento, che non cambia nulla in termini di efficienza e di risparmi, ma è pericolosa perché riduce gli spazi di democrazia a tutto vantaggio di un solo partito e di una sola persona.
E’ per questo che, dopo aver tentato di collaborare al processo riformatore, ci siamo chiamati fuori quando abbiamo capito che non c’era buona fede da parte dei nostri interlocutori, non c’era una vera volontà di cambiamento, ma solo quella di assicurarsi il potere senza il consenso degli italiani.
D’altronde siamo di fronte al terzo governo consecutivo che non ha avuto il voto dei cittadini: non dobbiamo mai dimenticare che l’ultimo governo scelto davvero dagli italiani è stato il nostro, nel 2008.
Noi siamo da sempre per le riforme, non certo per lasciare le cose come stanno. Fin dal 1995 io personalmente illustrai in parlamento la nostra idea dell’assoluta necessità di una profonda trasformazione delle istituzioni.
La nostra idea di riforma comprende l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, cosicché siano i cittadini a scegliere davvero; il dimezzamento – e non una semplice riduzione – del numero dei parlamentari; il vincolo di mandato, per cui sia vietato agli eletti di cambiare schieramento (chi cambia idea deve dimettersi); poteri più forti al premier, per esempio quello di cambiare un ministro che non funziona; una vera riforma delle regioni nello spirito di un autentico federalismo; un limite in Costituzione alla pressione fiscale in rapporto al PIL.
Su questi contenuti, che abbiamo confrontato e condiviso con i nostri alleati, potremo costruire istituzioni più moderne, più efficienti e soprattutto più vicine ai cittadini. Solo così potremo dare una risposta credibile alla sfiducia di tanti elettori nei confronti non solo della politica, ma dello stato nella sua interezza, quella sfiducia che si manifesta nel crescente assenteismo elettorale come nel voto per forze politiche di sola protesta, come il Movimento Cinque Stelle, non in grado di governare una grande città e tanto meno un paese come l’Italia.
Solo con una vittoria del NO, che elimini questa finta riforma, ci sarà spazio per lavorare ad una riforma vera.
E naturalmente il Presidente del Consiglio, per sua stessa ammissione, dovrà trarre le conseguenze del fallimento di un progetto al quale ha legato la sua intera azione politica. Noi non diciamo NO alla riforma per ostilità preconcetta a Renzi e al PD, se la riforma fosse utile agli italiani la appoggeremmo anche se siamo profondamente contrari a questo governo e alle sue politiche. Però è innegabile che il voto del 4 dicembre sarà anche un voto sul governo e sul Presidente del Consiglio.
Dunque ci sono tutte le condizioni per una svolta, sul piano istituzionale e politico. Una svolta non verso la confusione e l’ingovernabilità, come dice Renzi, ma al contrario verso governi che siano finalmente espressione vera degli elettori.
A tutti voi un abbraccio affettuoso e un augurio di buon lavoro per la grande battaglia di democrazia e libertà che stiamo conducendo.

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: PRESIDENTE - COME SEMPRE GRAZIE

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: PRESIDENTE - COME SEMPRE GRAZIE: Il 4 dicembre voteremo NO con convinzione SILVIO BERLUSCONI · SABATO 15 OTTOBRE 2016 Cari amici, quella del NO è un...

martedì 4 ottobre 2016

TUTTI A BOLOGNA IL 15 OTTOBRE X IL NO


GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AGGIORNAMENTI DAL COORDINAMENTO REGIONALE DI FORZA...

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AGGIORNAMENTI DAL COORDINAMENTO REGIONALE DI FORZA...: Presidenza Coordinamento Regionale Forza Italia Emilia Romagna  ​ Cari amici , eccoci qua. Le ferie sono un lontano ricordo e ...

PROSEGUIAMO CON LE RIFLESSIONI CHE MOTIVANO LA SCELTA PER IL NO AL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE 2016

Cari amici, continuando a illustrare i profili problematici della riforma costituzionale oggi vi proponiamo questo articolo del magistrato Domenico Airoma, vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, pubblicato sulla nuova Bussola Quotidiana il 3 ottobre.

4. Governabilità contro rappresentanza

Perché riformare una Costituzione? 
Per la verità, ci si potrebbe, ancor prima, chiedere perché scrivere una Costituzione. Vi sono state, infatti, epoche storiche nelle quali le società hanno fatto a meno di norme “costituzionali”, senza minimamente risentirne. Le costituzioni scritte rappresentano una caratteristica dell’epoca “moderna”, nata con la Rivoluzione Francese; in epoca pre-moderna, si conoscevano, al più, documenti che richiamavano principi generalmente riconosciuti e condivisi, che venivano messi per iscritto dinanzi a governanti tentati dalla tirannia. Il contesto culturale era omogeneo; oltre che sul consenso, il rapporto fra governanti e governati si reggeva nel comune riferimento a principi superiori, che rappresentavano il limite ed al contempo il fondamento del potere.

Con l’epoca moderna, in una società non più culturalmente omogenea, la Costituzione è chiamata a descrivere il “progetto” di società; non ha più contenuto ricognitivo di dati pre-esistenti ma “ideologico”; rimosso ogni riferimento a limiti superiori, “non negoziabili”, si tratta di sostituirli con norme che – per mera convenzione - vengono definite fondamentali, rappresentando esse il fondamento ed il limite del potere.

Come ogni convenzione, può cambiare: o dal basso, cioè dal lato dei governati - in presenza, solitamente, di radicali, ed a volte anche violenti, rivolgimenti -, oppure dall’alto, cioè dal lato dei governanti, quando – chi è in condizione di farlo - decide che è venuto il momento di cambiare le regole del gioco, cioè di dare un nuovo assetto al rapporto fra governabilità e rappresentanza.

Non vi è dubbio che ci troviamo dinanzi alla seconda ipotesi.
A questo punto, però,occorre anche chiedersi: chi e, soprattutto, come si intendono cambiare le regole del gioco?

Quanto al chi, va subito detto che Renzi appare più l’esecutore materiale che il regista dell’intera operazione. Autorevoli politologi hanno da tempo posto in evidenza come i governanti vanno assumendo un volto sempre più globalizzato, articolato e transnazionale, tanto da parlare non più di governo ma di governance. Chi governa il mondo – per riprendere un’espressione di Sabino Cassese - ha sempre più l’aspetto composito di finanzieri, funzionari di organizzazioni sovranazionali, tecnici di agenzie intergovernative ed internazionali: non si tratta di indulgere al facile teorema dei poteri forti, ma di prendere atto del fatto che i governanti nazionali sono solo attori co-protagonisti, e spesso anche secondari, di questa governance globale.

Non è un caso, peraltro, che su questa riforma costituzionale si siano pronunciati a favore  (ed a quale titolo, se non perché interessati in quanto co-governanti?) da Soros ad Obama, dall’Unione Europea ai principali circuiti mediatici internazionali.

Veniamo al come.
L’Italia resta ancora per tanti aspetti un’eccezione, soprattutto sulle questioni etiche. I governati, nei quali sopravvivono barlumi di buon senso, ovverosia di familiarità con principi dettati dalla ragione naturale prima ancora che dalla fede cristiana, costituiscono spesso un ostacolo nella “normalizzazione” del Paese. Ogni esigenza di rappresentanza delle comunità, delle famiglie, dei corpi intermedi, non possono che cedere il passo dinanzi alla volontà generale/globale che reclama uniformità di attuazione.

Il cambiamento di quadro è ben espresso dall’on. Luciano Violante, in un recente articolo pubblicato sulla rivista “Questione Giustizia”:
«Le procedure tradizionali presupponevano una politica padrona del proprio spazio e del proprio tempo. Non prevedevano la interdipendenza globale; non tenevano conto della permeabilità delle politiche pubbliche di ciascuno Stato a quelle degli altri Stati. Agivano in un contesto in cui la politica governava ancora i grandi processi economici e finanziari. Non ritenevano la velocità della decisione politica una qualità necessaria della democrazia; anzi ritenevano utili ripensamenti, pause di riflessione, riesami. Oggi non è più così. Bisogna rendersi conto che non viviamo in un’epoca di cambiamenti; viviamo in un cambiamento d’epoca (…).
Le politiche pubbliche sono diventate interdipendenti; i Governi devono perciò tenere conto di quanto fanno i Paesi concorrenti per non essere tagliati fuori dalla competizione internazionale danneggiando così i propri cittadini. Siamo nel tempo della morte dei confini.
Il rapporto tra politica e finanza si é rovesciato. «A volte», disse Tietmeyer a Davos nel 1996, «ho l’impressione che la maggior parte dei politici non abbia ancora capito quanto essi siano già oggi sotto il controllo dei mercati finanziari». (…)
Il fenomeno è frutto del crescente rilievo della politica europea e della politica estera, sempre più spesso condotte direttamente dal presidente del Consiglio, della necessità di decisioni rapide, che non consentono confronti, dell’esigenza di un parallelismo tra le proprie funzioni e quelle dei colleghi di altri Paesi con i quali il presidente del Consiglio deve interloquire e negoziare».

Se questo è il quadro entro il quale va inserita la riforma costituzionale, tutto è più chiaro, anche quanto al come. La governabilità non può essere commisurata alle esigenze di rappresentanza dei governati, bensì sulla necessità di dare attuazione rapida a decisioni prese altrove. Gli interlocutori dei governanti non sono le comunità locali, ma i circuiti politico-finanziari internazionali, come ammonisce l’on. Violante: il capo del governo non può perdere tempo in confronti. L’eventuale deficit di rappresentatività del governo deve essere superato semplicemente azzerando ogni presenza delle voci delle minoranze in Parlamento, che deve essere ridotto al ruolo di notaio amico.

Non si tratta, come è ovvio, di tessere le lodi di quella che Donoso Cortes definiva la classe discutidora. Si tratta, invece, di difendere gli spazi residui di rappresentanza e di libertà che solo un Parlamento nel quale siano presenti i diversi frammenti della odierna società plurale può, in qualche misura, garantire.

Perché, allora, riformare la Costituzione? 
Per far prevalere la governabilità sulla rappresentanza, le esigenze della governance globale  su quelle delle comunità e dei corpi intermedi nazionali. Se dovesse passare il “sì” alla riforma, non è certo la fine del mondo; quel che è certo è che si accelera la fine di “un” mondo, quello che, per tanti aspetti, contribuisce a fare ancora dell’Italia una felice eccezione.