COLLEGATI AL SITO DEL COMITATO PER IL NAZIONALE

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martedì 29 novembre 2016

lunedì 31 ottobre 2016

VERSO IL REFERENDUM....... UNA RIFLESSIONE IMPORTANTE

Cari Amici, continuando ad illustrare le ragioni del NO al referendum costituzionale, vi proponiamo oggi questo contributo di Stefano Nitoglia, avvocato del Centro Studi Rosario Livatino, articolo comparso sulla Nuova Bussola il 17 ottobre scorso.

Una semplificazione... complicata

Il primo slogan a sostegno della riforma costituzionale è la semplificazione: che si realizzerebbe grazie al superamento del bicameralismo paritario. È realmente così? È lecito dubitarne, soffermandosi soltanto sul confronto fra l’art. 70 della Costituzione come è adesso, e come sarà se la riforma fosse confermata dal referendum. È la norma che disciplina il procedimento di formazione delle leggi. È evidente la differenza tra la semplicità e chiarezza di essa nella sua originaria configurazione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, e la farraginosità della sua nuova formulazione. Provate a leggerla tutta d’un fiato:

«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.

L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati».

L’ho riprodotta per intero non per torturare il lettore, ma perché dalla sua scelta dipenderà anche la trasformazione del sintetico e inequivocabile testo finora in vigore e questa sorta di “romanzo costituzionale”. Nel merito, come altri su questo quotidiano hanno già sottolineato, è sufficiente ricordare che il nuovo articolo 70, lungi dal sottrarre al Senato tutte le competenze che aveva, gliene lascia tantissime, alcune delle quali assai importanti: il bicameralismo non scompare, viene solo reso più complicato. Con una formulazione così infelice la riforma lascia alla competenza di entrambe le Camere la funzione legislativa sulle leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali – e fin qui è ovvio – e poi attribuisce ulteriori ambiti di intervento, fra cui il recepimento delle disposizioni europee.

Come rileva Giulio Tremonti in un’intervista al “Corriere della Sera del 24 settembre scorso: «La riforma disegna un Senato regionale che sarà chiamato, insieme alla Camera, a decidere delle leggi e i trattati europei. Una camera provinciale che sarà chiamata sull’Europa. Mi dice dove sta la semplificazione?». Per di più, il Senato, con richiesta di un terzo dei suoi componenti, può “disporre” di esaminare anche le leggi emanate dalla sola Camera, la quale ha l’obbligo di trasmettere immediatamente al Senato entro il termine di dieci giorni dalla sua approvazione. E una volta esaminato il testo, il Senato può disporre delle modifiche e rimandarlo alla Camera, la quale può accettarle oppure no. Insomma, non si vede dove sia il risparmio di tempo.

Infine, il penultimo comma del nuovo articolo 70 stabilisce che le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, sono decise d’intesa tra i presidenti di esse Camere, ma non dice cosa succede qualora i presidenti non raggiungano un’intesa, aprendo la strada ad un contenzioso di rilevanza costituzionale dai contorni e dagli effetti non ben definiti.

martedì 25 ottobre 2016

IMPORTANTISSIMO INCONTRO IL PROSSIMO 7 NOVEMBRE ALLE 18 A MODENA


PER UNA ESAUSTIVA E CORRETTA INFORMAZIONE SUL REFERENDUM DEL PROSSIMO 7 DICEMBRE 2016
VI ASPETTIAMO

lunedì 17 ottobre 2016

GRAZIE PRESIDENTE BERLUSCONI


Il 4 dicembre voteremo NO con convinzione
Cari amici,
quella del NO è una battaglia che ci vede impegnati con convinzione e con determinazione. Nelle prossime settimane in tutt’Italia daremo vita ad una serie di manifestazioni per spiegare sempre più a fondo le ragioni del nostro impegno, che è per una riforma vera, profonda, radicale delle nostre istituzioni. Una riforma, quella che abbiamo in mente, molto diversa da quella imposta dal Governo al Parlamento, che non cambia nulla in termini di efficienza e di risparmi, ma è pericolosa perché riduce gli spazi di democrazia a tutto vantaggio di un solo partito e di una sola persona.
E’ per questo che, dopo aver tentato di collaborare al processo riformatore, ci siamo chiamati fuori quando abbiamo capito che non c’era buona fede da parte dei nostri interlocutori, non c’era una vera volontà di cambiamento, ma solo quella di assicurarsi il potere senza il consenso degli italiani.
D’altronde siamo di fronte al terzo governo consecutivo che non ha avuto il voto dei cittadini: non dobbiamo mai dimenticare che l’ultimo governo scelto davvero dagli italiani è stato il nostro, nel 2008.
Noi siamo da sempre per le riforme, non certo per lasciare le cose come stanno. Fin dal 1995 io personalmente illustrai in parlamento la nostra idea dell’assoluta necessità di una profonda trasformazione delle istituzioni.
La nostra idea di riforma comprende l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, cosicché siano i cittadini a scegliere davvero; il dimezzamento – e non una semplice riduzione – del numero dei parlamentari; il vincolo di mandato, per cui sia vietato agli eletti di cambiare schieramento (chi cambia idea deve dimettersi); poteri più forti al premier, per esempio quello di cambiare un ministro che non funziona; una vera riforma delle regioni nello spirito di un autentico federalismo; un limite in Costituzione alla pressione fiscale in rapporto al PIL.
Su questi contenuti, che abbiamo confrontato e condiviso con i nostri alleati, potremo costruire istituzioni più moderne, più efficienti e soprattutto più vicine ai cittadini. Solo così potremo dare una risposta credibile alla sfiducia di tanti elettori nei confronti non solo della politica, ma dello stato nella sua interezza, quella sfiducia che si manifesta nel crescente assenteismo elettorale come nel voto per forze politiche di sola protesta, come il Movimento Cinque Stelle, non in grado di governare una grande città e tanto meno un paese come l’Italia.
Solo con una vittoria del NO, che elimini questa finta riforma, ci sarà spazio per lavorare ad una riforma vera.
E naturalmente il Presidente del Consiglio, per sua stessa ammissione, dovrà trarre le conseguenze del fallimento di un progetto al quale ha legato la sua intera azione politica. Noi non diciamo NO alla riforma per ostilità preconcetta a Renzi e al PD, se la riforma fosse utile agli italiani la appoggeremmo anche se siamo profondamente contrari a questo governo e alle sue politiche. Però è innegabile che il voto del 4 dicembre sarà anche un voto sul governo e sul Presidente del Consiglio.
Dunque ci sono tutte le condizioni per una svolta, sul piano istituzionale e politico. Una svolta non verso la confusione e l’ingovernabilità, come dice Renzi, ma al contrario verso governi che siano finalmente espressione vera degli elettori.
A tutti voi un abbraccio affettuoso e un augurio di buon lavoro per la grande battaglia di democrazia e libertà che stiamo conducendo.

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: PRESIDENTE - COME SEMPRE GRAZIE

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: PRESIDENTE - COME SEMPRE GRAZIE: Il 4 dicembre voteremo NO con convinzione SILVIO BERLUSCONI · SABATO 15 OTTOBRE 2016 Cari amici, quella del NO è un...

martedì 4 ottobre 2016

TUTTI A BOLOGNA IL 15 OTTOBRE X IL NO


GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AGGIORNAMENTI DAL COORDINAMENTO REGIONALE DI FORZA...

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AGGIORNAMENTI DAL COORDINAMENTO REGIONALE DI FORZA...: Presidenza Coordinamento Regionale Forza Italia Emilia Romagna  ​ Cari amici , eccoci qua. Le ferie sono un lontano ricordo e ...

PROSEGUIAMO CON LE RIFLESSIONI CHE MOTIVANO LA SCELTA PER IL NO AL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE 2016

Cari amici, continuando a illustrare i profili problematici della riforma costituzionale oggi vi proponiamo questo articolo del magistrato Domenico Airoma, vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, pubblicato sulla nuova Bussola Quotidiana il 3 ottobre.

4. Governabilità contro rappresentanza

Perché riformare una Costituzione? 
Per la verità, ci si potrebbe, ancor prima, chiedere perché scrivere una Costituzione. Vi sono state, infatti, epoche storiche nelle quali le società hanno fatto a meno di norme “costituzionali”, senza minimamente risentirne. Le costituzioni scritte rappresentano una caratteristica dell’epoca “moderna”, nata con la Rivoluzione Francese; in epoca pre-moderna, si conoscevano, al più, documenti che richiamavano principi generalmente riconosciuti e condivisi, che venivano messi per iscritto dinanzi a governanti tentati dalla tirannia. Il contesto culturale era omogeneo; oltre che sul consenso, il rapporto fra governanti e governati si reggeva nel comune riferimento a principi superiori, che rappresentavano il limite ed al contempo il fondamento del potere.

Con l’epoca moderna, in una società non più culturalmente omogenea, la Costituzione è chiamata a descrivere il “progetto” di società; non ha più contenuto ricognitivo di dati pre-esistenti ma “ideologico”; rimosso ogni riferimento a limiti superiori, “non negoziabili”, si tratta di sostituirli con norme che – per mera convenzione - vengono definite fondamentali, rappresentando esse il fondamento ed il limite del potere.

Come ogni convenzione, può cambiare: o dal basso, cioè dal lato dei governati - in presenza, solitamente, di radicali, ed a volte anche violenti, rivolgimenti -, oppure dall’alto, cioè dal lato dei governanti, quando – chi è in condizione di farlo - decide che è venuto il momento di cambiare le regole del gioco, cioè di dare un nuovo assetto al rapporto fra governabilità e rappresentanza.

Non vi è dubbio che ci troviamo dinanzi alla seconda ipotesi.
A questo punto, però,occorre anche chiedersi: chi e, soprattutto, come si intendono cambiare le regole del gioco?

Quanto al chi, va subito detto che Renzi appare più l’esecutore materiale che il regista dell’intera operazione. Autorevoli politologi hanno da tempo posto in evidenza come i governanti vanno assumendo un volto sempre più globalizzato, articolato e transnazionale, tanto da parlare non più di governo ma di governance. Chi governa il mondo – per riprendere un’espressione di Sabino Cassese - ha sempre più l’aspetto composito di finanzieri, funzionari di organizzazioni sovranazionali, tecnici di agenzie intergovernative ed internazionali: non si tratta di indulgere al facile teorema dei poteri forti, ma di prendere atto del fatto che i governanti nazionali sono solo attori co-protagonisti, e spesso anche secondari, di questa governance globale.

Non è un caso, peraltro, che su questa riforma costituzionale si siano pronunciati a favore  (ed a quale titolo, se non perché interessati in quanto co-governanti?) da Soros ad Obama, dall’Unione Europea ai principali circuiti mediatici internazionali.

Veniamo al come.
L’Italia resta ancora per tanti aspetti un’eccezione, soprattutto sulle questioni etiche. I governati, nei quali sopravvivono barlumi di buon senso, ovverosia di familiarità con principi dettati dalla ragione naturale prima ancora che dalla fede cristiana, costituiscono spesso un ostacolo nella “normalizzazione” del Paese. Ogni esigenza di rappresentanza delle comunità, delle famiglie, dei corpi intermedi, non possono che cedere il passo dinanzi alla volontà generale/globale che reclama uniformità di attuazione.

Il cambiamento di quadro è ben espresso dall’on. Luciano Violante, in un recente articolo pubblicato sulla rivista “Questione Giustizia”:
«Le procedure tradizionali presupponevano una politica padrona del proprio spazio e del proprio tempo. Non prevedevano la interdipendenza globale; non tenevano conto della permeabilità delle politiche pubbliche di ciascuno Stato a quelle degli altri Stati. Agivano in un contesto in cui la politica governava ancora i grandi processi economici e finanziari. Non ritenevano la velocità della decisione politica una qualità necessaria della democrazia; anzi ritenevano utili ripensamenti, pause di riflessione, riesami. Oggi non è più così. Bisogna rendersi conto che non viviamo in un’epoca di cambiamenti; viviamo in un cambiamento d’epoca (…).
Le politiche pubbliche sono diventate interdipendenti; i Governi devono perciò tenere conto di quanto fanno i Paesi concorrenti per non essere tagliati fuori dalla competizione internazionale danneggiando così i propri cittadini. Siamo nel tempo della morte dei confini.
Il rapporto tra politica e finanza si é rovesciato. «A volte», disse Tietmeyer a Davos nel 1996, «ho l’impressione che la maggior parte dei politici non abbia ancora capito quanto essi siano già oggi sotto il controllo dei mercati finanziari». (…)
Il fenomeno è frutto del crescente rilievo della politica europea e della politica estera, sempre più spesso condotte direttamente dal presidente del Consiglio, della necessità di decisioni rapide, che non consentono confronti, dell’esigenza di un parallelismo tra le proprie funzioni e quelle dei colleghi di altri Paesi con i quali il presidente del Consiglio deve interloquire e negoziare».

Se questo è il quadro entro il quale va inserita la riforma costituzionale, tutto è più chiaro, anche quanto al come. La governabilità non può essere commisurata alle esigenze di rappresentanza dei governati, bensì sulla necessità di dare attuazione rapida a decisioni prese altrove. Gli interlocutori dei governanti non sono le comunità locali, ma i circuiti politico-finanziari internazionali, come ammonisce l’on. Violante: il capo del governo non può perdere tempo in confronti. L’eventuale deficit di rappresentatività del governo deve essere superato semplicemente azzerando ogni presenza delle voci delle minoranze in Parlamento, che deve essere ridotto al ruolo di notaio amico.

Non si tratta, come è ovvio, di tessere le lodi di quella che Donoso Cortes definiva la classe discutidora. Si tratta, invece, di difendere gli spazi residui di rappresentanza e di libertà che solo un Parlamento nel quale siano presenti i diversi frammenti della odierna società plurale può, in qualche misura, garantire.

Perché, allora, riformare la Costituzione? 
Per far prevalere la governabilità sulla rappresentanza, le esigenze della governance globale  su quelle delle comunità e dei corpi intermedi nazionali. Se dovesse passare il “sì” alla riforma, non è certo la fine del mondo; quel che è certo è che si accelera la fine di “un” mondo, quello che, per tanti aspetti, contribuisce a fare ancora dell’Italia una felice eccezione.

venerdì 30 settembre 2016

C'E' CHI DICE NO - DOMANI 1 OTTOBRE BANCHETTO PER IL NO IN PIAZZA MARTIRI A CARPI DALLE 10

1° OTTOBRE 2016 - DALLE 10,00
BANCHETTO DEL COMITATO PER IL NO DELLE TERRE D'ARGINE
CARPI (MO)  - PIAZZA MARTIRI

mercoledì 28 settembre 2016

VOTIAMO NO PER NON CONSEGNARE L'ITALIA ALLE LOBBIES

Cari amici, finalmente è stata fissata la data del voto per il referendum sulla riforma costituzionale: il 4 dicembre. Proponiamo come secondo contributo alle ragioni del no un articolo di Francesco Farri, avvocato del Centro Studi Livatino, pubblicato il 21 settembre da La nuova Bussola Quotidiana.

2. Questa riforma consegnerà l'Italia alle lobby

Negli ultimi mesi, si sono levate, anche dall'estero, molte voci provenienti dal mondo dell'economia, della finanza, dei social networks e, da ultimo, anche della diplomazia, le quali hanno dipinto la riforma costituzionale italiana come ultima chance per il salvataggio del sistema Italia. Per converso, il presidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, ha denunciato che «la modifica della Costituzione serve alle multinazionali, alle banche, alla finanza», a scapito degli interessi dei cittadini italiani. Di chi fidarsi?

Importanti indicazioni giuridiche per la risposta possono trarsi in quello che, a riforma approvata,diverrebbe il nuovo articolo 72, comma 7 della Costituzione. Nel cervellotico quadro dei nuovi procedimenti legislativi, la nuova Costituzione ne introduce uno per cui il governo, «indicando» un disegno di legge come «essenziale per l'attuazione del programma di governo», può in sintesi ottenere dalla Camera la definitiva approvazione delle proprie proposte entro tre mesi (giorni 5 + 70 + 5 + 15), prorogabili di due settimane in casi di particolare complessità.  Potrebbe osservarsi: è giusto che in certi casi sia riconosciuta al governo una corsia preferenziale in Parlamento!

Vero, ma è essenziale l’individuazione di tali casi e degli strumenti utilizzabili nella corsia preferenziale. I Costituenti avevano ben previsto l'esigenza di una corsia preferenziale per il governo (il decreto legge), ma avevano stabilito precisi limiti (effettiva ragione di straordinaria necessità e urgenza) e conseguenze (responsabilità del governo e perdita di efficacia fin dall'inizio del testo normativo in difetto di conversione entro sessanta giorni) della percorrenza di essa.

E il nuovo art. 72, comma 7?  Esso non prevede né apprezzabili limiti di utilizzo, né conseguenze. L'estrema vaghezza dei termini utilizzati (la essenzialità «per l'attuazione del programma di governo» appare un concetto squisitamente politico e, come tale, pressoché insindacabile) e l'àmbito estremamente ristretto delle esclusioni da tale procedimento previste in Costituzione (al regolamento della Camera si rinvia, infatti, per la sola disciplina procedimentale) lo rende sostanzialmente versatile ad ogni uso, ma anche ad ogni abuso da parte del governo, cosa che invece la Corte Costituzionale garantiva fosse esclusa per il decreto legge. Quanto alle conseguenze, appare evidente che - rispetto alla disciplina del d.l., che pure viene mantenuta - non è qui prevista la responsabilità del governo né la decadenza del testo normativo se i termini non sono rispettati.

E se è così, che funzione ha il nuovo art. 72, comma 7?  Proprio questo è il punto.  Infatti, se sapientemente combinato con l'utilizzo della questione di fiducia (senza la quale il meccanismo non funzionerebbe), esso permette al governo di "forzare" con un blitz il legislatore ad attuare il progetto presentato dal governo stesso ottenendo i seguenti “benefici”: (1) minimizzazione della discussione parlamentare e sacrificio della tutela delle minoranze, garantite dal normale iter legislativo; (2) aggiramento delle tutele di cui è circondato il decreto legge; (3) sostanziale impedimento di ogni mobilitazione contro l'iniziativa governativa da parte dell'opinione pubblica, che in tre mesi farebbe appena in tempo ad avere notizia di quello che sta succedendo nelle segrete stanze.

Chi può, al giorno d'oggi, avere interesse a conseguire “benefici” di questo tipo? Volendo tralasciare  le ipotesi più radicali, la risposta appare semplice: si tratta dei gruppi d'interesse che, operando al di fuori del circuito di legittimazione democratica e dall'humus dell'opinione pubblica nazionale, necessitano tuttavia del supporto normativo per attuare i propri interessi. Si tratta, in altre parole, di quelle che oggi sono indicate come "lobby".  Per definizione, esse si trovano spesso nella condizione di poter influenzare (e "ricattare" politicamente) singole persone (come, ad esempio, quelle che siedono in un governo), ma molto più difficilmente esse si trovano in condizione di poter direttamente "ricattare" istituzioni come un Parlamento nazionale o una Corte Costituzionale.

E ciò è vero specie in Italia, dove il sistema costruito dai Costituenti si è mostrato estremamente garantista per gli interessi del popolo sovrano e ha creato una coscienza collettiva forte, matura e capace di mobilitarsi e opporsi con vigore a iniziative che ha trasversalmente percepito come estranee all'interesse del Paese. Ecco che il nuovo meccanismo legislativo dell'art. 72, comma 7, magicamente, fornisce il grimaldello che alle lobby mancava per annidarsi stabilmente nella legislazione italiana. Con esso, infatti, il governo non ha più alibi: esso può far digerire al Parlamento quel che vuole, senza lacciuoli e prendendo in contropiede ogni forma di rilevante reazione dell'opinione pubblica.

Con esso, si crea un efficacissimo trait d'union tra persone fisiche del governo ("ricattabili" dalle lobby) e Parlamento (non direttamente "ricattabile" dalle lobby, ma "ricattabile" dal governo tramite voto di fiducia), che non permetterà al governo di sottrarsi dal cappio che le lobby facilmente possono porgli al collo. La ricattabilità di un primo ministro che voglia salvare la poltrona diverrà la ricattabilità dell'Italia.

Come brandito dai sostenitori di progetti di legge invisi a larga parte dell'opinione pubblica, con il nuovo sistema legislativo una drastica riduzione delle pensioni al pari di una legge Scalfarotto, una privatizzazione del sistema sanitario al pari dell'eutanasia per i bambini, potranno esser legge quasi di nascosto, senza che il corpo elettorale faccia in tempo ad accorgersene e organizzare manifestazioni di opposizione. Il nuovo procedimento legislativo incarna la logica del fatto compiuto e la logica del sotterfugio, molto più e strutturalmente più di quanto avvenga adesso. Con esso, si istituzionalizza una forma di blitz legislativo che solo le lobby possono avere interesse a sfruttare. La riforma del procedimento legislativo è la pesante ipoteca delle lobby sui valori e sugli interessi dell'Italia.

Riallacciandosi alla domanda iniziale, quindi, può dirsi che sia i finanzieri stranieri sia il presidente Maddalena abbiano ragione. Di chi fidarsi, dipende dagli interessi che vogliono tutelarsi: se vogliono tutelarsi gli interessi delle lobby della finanza e delle colonizzazioni ideologiche, la riforma costituzionale è lo strumento migliore. Ma tali interessi contrastano strutturalmente con gli interessi dei cittadini e con i valori della nostra Repubblica. E se vogliono salvaguardarsi gli interessi e i valori degli Italiani, allora una riforma costituzionale di questo tipo merita di esser spazzata via senza residui. E senza rimpianti: solo con un gran sospiro di sollievo.


GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AUGURI PRESIDENTE - RAGAZZO DI 80 ANNI PIU' PRESEN...

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: AUGURI PRESIDENTE - RAGAZZO DI 80 ANNI PIU' PRESEN...: AUGURI PER I TUOI 80 ANNI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Grazie per quanto tu ai fatto per...

lunedì 26 settembre 2016

IO VOTO NO - RENZI A CASA

RENZI, BOSCHI, DELRIO E L’IMBROGLIO PERENNE DEL REFERENDUM COSTITUZIONALE ( ANCHE NELLA SCHEDA )
È veramente vergognoso tutto quello che il popolo italiano sta subendo dal Governo Renzi che trasforma il referendum costituzionale in una grande bufala e piccona ogni principio della democrazia. È raccapricciante il modo un cui viene posto il quesito referendario. È una domanda a trabocchetto per invogliare gli elettori meno informati a votare “sì”.
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione” - approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. 
A completare la bugia manca soltanto un punto interrogativo dopo l’ultima parola. 
Ci chiediamo in modo sarcastico perché non abbiano scelto ad esempio di formulare questa domanda: “Italiani volete fare festa tutto l’anno senza lavorare mai? Votate sì al referendum”.
" Italiani vorreste non pagare le tasse e vivere felici, votate sì al referendum". 
Renzi fa tutto da solo ma in democrazia il testo sarebbe dovuto essere stilato in accordo con le forze politiche avversarie, ma ripetiamo questo sarebbe dovuto avvenire in una normale democrazia. 
Eppure la legge del 1970, all’articolo 16, spiega con precisione che nel momento in cui si deve modificare la costituzione, un quesito deve essere chiaro e riportare gli articoli da modificare specificandone il contenuto
Non possiamo accettare tutto ciò, il popolo italiano deve ribellarsi a tali marchingegni machiavellici costruiti ad arte come una trappola per topi. A maggior ragione bisogna votare NO per far capire a questi signori che l’anello al naso non lo tiene più nessuno.

giovedì 8 settembre 2016

IL 15 SETTEMBRE INTERESSANTE INCONTRO A FERRARA

Alleanza Cattolica in Ferrara invita tutti gli amici ferraresi a partecipare alla conferenza organizzata dal Comitato "Difendiamo i Nostri Figli" che si terrà

Giovedì 15 settembre 2016
ore 21,00
Sala Estense - p.tta Municipale - Ferrara

sul tema

Riforma costituzionale:
verso il referendum

Le ragioni del NO e molti altri argomenti a favore della famiglia saranno illustrati dal presidente nazionale del Comitato e portavoce del Family Day

dr. Massimo Gandolfini

preceduto da una introduzione alle problematiche giuridiche del
dr. Francesco Scutellari
magistrato, già presidente del tribunale di Bologna

GRAZIE STEFANO PARISI PER IL TUO AUTOREVOLE PENSIERO CHE CHIARISCE LA POSIZIONE DEL NO AL REFERENDUM


giovedì 25 agosto 2016

INTERVISTA SU "TEMPI" A CASADEI - LE RAGIONI DEL NO

Ragioni per il "no" al referendum costituzionale

di Rodolfo Casadei
tempi.it, 22 agosto 2016

Sarà ricordato come il referendum più bizzarro della storia d’Italia, trasformato dal capo del governo in plebiscito su se stesso tre mesi prima che la riforma costituzionale su cui gli italiani sarebbero stati chiamati ad esprimersi venisse approvata dalle Camere, e nove mesi prima della presumibile data del suo svolgimento. Matteo Renzi ha minacciato di dimettersi non solo dalla presidenza del Consiglio, ma dalla politica tout court già a gennaio di quest’anno, e lo ha ripetuto fino alla vigilia delle amministrative di giugno. Dopo di allora ha ribaltato il discorso di 180 gradi, ma era troppo tardi: si era formata specularmente un’ecumenica coalizione per il “no” tenuta insieme più dall’avversione al segretario del Pd che da un comune sentire circa l’oggetto del contendere, cioè la riforma costituzionale approvata coi voti della sola maggioranza più il soccorso dei verdiniani di Ala.

E sì che di argomenti razionali e oggettivi per confutare i contenuti della riforma Renzi-Boschi ce ne sono in abbondanza. E se quando si leggono i contenuti delle homepage di certi Comitati per il No cresce la tentazione, come ha scritto Davide Giacalone, di votare “sì”, quando invece si approfondisce l’argomento, le ragioni del “no” si stagliano limpide. I difetti della riforma sono almeno tre: non semplifica il funzionamento delle istituzioni e non aumenta la governabilità, anzi li deteriora; annienta l’autonomia regionale e ripropone il centralismo statalista; il combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale (l’Italicum) provoca effetti distorsivi su tutto il sistema istituzionale, creando le condizioni per lo strapotere senza contrappesi di chi magari al primo turno ha preso poco più di un quarto dei voti.

La clausola di supremazia

Vediamo nel dettaglio queste criticità cominciando dalla seconda. Il nuovo testo costituzionale elimina le materie di competenza concorrente fra Stato e Regioni fissate nella riforma del 2001 e le trasferisce quasi tutte allo Stato; di conseguenza le materie di competenza esclusiva dello Stato passano da una trentina a una cinquantina. Questa in linea di principio avrebbe potuto essere una buona cosa, giovando a ridurre il contenzioso sulle competenze davanti alla Corte costituzionale e restituendo al governo centrale materie che nel 2001 gli erano state sottratte solo per togliere argomenti alla propaganda leghista, che a quel tempo era all’apogeo (quella riforma fu promossa dal governo di centrosinistra di allora).

Ma la nuova Costituzione non si limita a questo. Per una serie di materie che pure sono assegnate alla competenza regionale (tutela della salute, politiche sociali, sicurezza alimentare, istruzione e formazione professionale, attività culturali e turismo, governo del territorio) allo Stato spetta non più, come in precedenza, dettare i “princìpi fondamentali” a cui la legislazione regionale deve attenersi, ma formulare “disposizioni generali e comuni”. Quindi, mentre prima lo Stato definiva i princìpi e le Regioni erano competenti per le norme di attuazione, dopo la riforma lo Stato potrà emettere norme comuni uniformi, imporre per esempio lo stesso modello di sanità a tutte le Regioni, non importa che siano virtuose come la Lombardia o scadenti come la Calabria. Il ruolo delle Regioni diventa meramente amministrativo, come quello dei Comuni.

Come se non bastasse, nel nuovo testo costituzionale lo Stato riserva a sé una “clausola di supremazia”, in base alla quale può, se vuole, fare semplicemente quel che gli pare e gli piace. Si legge al quinto comma dell’art. 117: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale».

Leggi regionali? Una burletta

Le Regioni di loro iniziativa non possono fare praticamente più niente, perché oltre alle competenze e alle norme attuative che non siano mera applicazione amministrativa viene loro tolta anche l’ultima ombra di autonomia tributaria. Nell’attuale testo costituzionale gli enti sub-statali stabiliscono i tributi «secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» fissati dallo Stato, invece in quello nuovo devono attenersi a «quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (secondo comma dell’art. 119). Perché nel nuovo art. 117, alla lettera e) del secondo comma si stabilisce che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». In buona sostanza, tutta la finanza regionale tornerà a essere derivata, i tributi saranno stabiliti da una legge nazionale e semplicemente istituiti da una regionale, anche se la materia per la quale alla Regione servono i soldi è di sua competenza. La facoltà delle Regioni di legiferare diventa una burletta: a che serve varare leggi se non le si possono finanziare? Ciliegina sulla torta, tutte le restrizioni applicate alle regioni ordinarie non varranno per le regioni a statuto speciale. La Sicilia potrà continuare a fare quello che ha fatto finora, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia perderanno anche quel po’ di autonomia che avevano conquistato negli ultimi quindici anni.

I fan della riforma sostengono che il giro di vite antiregionalista è salutare, considerato che molti degli scandali giudiziari dell’ultimo decennio hanno riguardato l’allegra gestione delle risorse pubbliche da parte delle Regioni. Si può rispondere che tali scandali forse non sarebbero avvenuti se il federalismo fiscale fosse stato introdotto per davvero, rendendo la classe politica regionale responsabile davanti agli elettori del territorio. Resta comunque il fatto che i nuovi articoli della Costituzione disattendono il tuttora in vigore articolo 5: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; […] adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».

Un ex presidente della Corte costituzionale come Franco Gallo ha esecrato il siluramento dell’autonomia regionale nel nuovo testo costituzionale. Ha scritto: «I princìpi costituzionali di democrazia e di autonomia sono tra loro inscindibilmente connessi, così come lo sono i corollari di sussidiarietà […]. E questi princìpi vogliono che i cittadini amministrati siano, in ogni caso, posti in grado di controllare, indirizzare e giudicare l’operato dei loro amministratori per quanto riguarda le decisioni di spesa e di entrate assunte nella propria sfera di autonomia».

Semplificazione o confusione?

E passiamo al tema della governabilità e della semplificazione. I fautori della riforma sostengono che la trasformazione del Senato in una sorta di Camera delle Regioni che non partecipa al voto di fiducia per il governo e che vota solo alcune leggi renderà più spediti i lavori parlamentari e permetterà di ridurre i costi della politica, perché il Senato sarà formato in prevalenza da consiglieri regionali scelti con elezioni di secondo livello. Peccato che le cose non stiano affatto così. I risparmi non andranno al di là dei 72-73 milioni di euro all’anno, mentre il procedimento legislativo non verrà semplificato, ma ulteriormente complicato. Si profilano, secondo alcuni, da sette a dieci procedimenti legislativi diversi. Dice un altro ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, nel contesto del suo dialogo col senatore Gaetano Quagliariello contenuto nel libro Perché è saggio dire no (Rubbettino, 2016): «Il sistema dei procedimenti legislativi è stato complicato e non certo semplificato. Se passerà la riforma, avremo una pluralità di procedimenti differenziati in base alle diverse modalità di intervento del nuovo Senato: leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta. Penso che alla Corte costituzionale debbano prepararsi a fare gli straordinari».

Come funzionerà il Senato formato da 100 elementi provenienti dai consigli regionali, alcuni sindaci e cinque membri nominati dal capo dello Stato, ancora non è chiaro. Si chiede retoricamente il senatore Quagliariello: «Ma come è possibile disegnare un sistema del genere senza prevedere la presenza nel Senato dei presidenti delle Regioni? E come è possibile immaginare un Senato delle autonomie senza chiarire se i senatori rappresentano l’istituzione regionale da cui provengono o il partito che li ha eletti? Ed è possibile pensare di fare del Senato il luogo di confronto tra livello centrale e autonomie e non abolire la Conferenza Stato-Regioni?».

Sì, c’è anche questa bizzarrìa nella nuova costituzione: secondo il nuovo articolo 55, «il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica», ma nessuno ha messo all’ordine del giorno l’abolizione della Conferenza Stato-Regioni, l’organo collegiale che da trent’anni costituisce la sede privilegiata della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali: una proposta in tal senso della Lega Nord in commissione nel dicembre 2014 fu respinta.

Il giudizio di Onida non lascia scampo: «Nel momento in cui si è deciso di sottrarre al Senato la funzione di camera politica che vota la fiducia al governo, bisognava trasformarlo in una vera camera delle Regioni, dotata di poteri effettivi e realmente rappresentativa delle autonomie territoriali. E invece la ricentralizzazione operata col Titolo V e la delineazione del Senato come una camera debole e priva di poteri significativi rendono questa riforma non solo inutile ma fondamentalmente dannosa». Non si è avuto il coraggio di passare dal bicameralismo perfetto al monocameralismo, e così si è approdati al bicameralismo confuso.

Pochi voti, tutto il potere

Infine ci sono i problemi che nascono dall’incrocio fra i contenuti della riforma e quelli della legge elettorale. L’Italicum prevede un premio di maggioranza pari al 54 per cento dei seggi della Camera per la lista che vince al ballottaggio (se al primo turno nessuna lista ha superato il 40 per cento), pari a 340 deputati su 630. Di quei 340, almeno 100 sono uomini di fiducia del segretario del partito, perché il sistema prevede 100 collegi plurinominali con capilista bloccati. Si noti che per l’elezione del presidente della Repubblica, la riforma Boschi prevede che dal quarto scrutinio è sufficiente il 60 per cento dell’assemblea, dal settimo il 60 per cento dei votanti. 

L’Italicum è una legge pensata su misura per il Pd trionfante di Renzi, che libero da vincoli di coalizione e forte della mancanza di alternative politiche a causa della crisi del centrodestra potrebbe conquistare tutto il potere, contrappesi istituzionali compresi, con un risultato di poco superiore a un terzo dei voti al primo turno.

Tuttavia potrebbe sortire risultati ben diversi da quelli sperati. Tanto per cominciare, fra i giorni dell’approvazione della nuova legge ed oggi c’è stata l’ascesa del M5S, che nei sondaggi si contende il primo posto col Pd. Ma anche una vittoria al ballottaggio non assicurerebbe necessariamente a Renzi e ai suoi successori la vagheggiata governabilità incontrastata. Se il 5 per cento del 54 per cento di deputati della lista vincente si mettesse a fare le bizze, per il governo si metterebbe male. Si tornerebbe alla logica dei soccorsi verdiniani o dei patti del Nazareno. I prossimi parlamenti faticheranno a trovare la rotta fra la Scilla dell’appiattimento sull’esecutivo e la Cariddi del trasformismo per riprendersi il potere ad essi strappato dal presidente del Consiglio.

Profetizza Davide Giacalone: «Già sappiamo quali costumi deriveranno da una simile riforma: o una platea parlamentare sovrastata dal potere di chi decide le candidature, la distribuzione dei bonus e la soddisfazione delle clientele, quindi un parlamento a direzione partitica e incarnazione governativa; oppure la reazione con la decomposizione, ovvero il consolidarsi del già patologico trasformismo, talché gente eletta con i voti degli uni andrà (come già va) a popolare le file degli altri. Il veleno sta nell’interazione fra quella riforma costituzionale e la già fatta riforma del sistema elettorale».

L’eccezione Ala diventa regola

Ed ecco cosa pensa Quagliariello: «Rischiamo di andare o verso un sistema bloccato con un grande partito centrale che per governare e gestire il potere anestetizza i conflitti interni attraverso il sistematico ricorso a pratiche trasformistiche, o peggio ancora verso uno scontro titanico tra politica e antipolitica. Sarebbe in ogni caso una condanna: o al trasformismo permanente o alla sostituzione del conflitto nel sistema con un conflitto fra sistemi. […] Se il nuovo sistema entrerà in vigore, il partito del premier sarà dotato di un potere eccessivo, privo di contrappesi e, con ogni probabilità, scarsamente legittimato in termini di consenso elettorale effettivo. Ma allo stesso tempo avrà una forza parlamentare limitata, per cui basterà una fronda interna a metterlo in scacco e per sterilizzarla sarà costretto a replicare il “modello Ala”, che da eccezione diverrebbe la regola. Avremo un sistema che non protegge dagli inciuci e allo stesso tempo consente alla maggioranza, anzi al partito di maggioranza, di eleggersi praticamente da solo tutti gli organi di garanzia».

martedì 5 luglio 2016

I 10 PUNTI DEL NO DEL CENTRODESTRA UNITO

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 10 PUNTI DEL NO DEL CENTRODESTRA UNITO

Questa è la riforma di una minoranza che, grazie alla sovra rappresentazione parlamentare fornita da una legge elettorale dichiarata (anche per questo motivo) illegittima dalla Corte costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta. Una simile maggioranza non può spingersi fino a cambiare, con un violento colpo di mano, i connotati della Costituzione.
2) NO PERCHE’ QUELLA ITALIANA ERA LA COSTITUZIONE DI TUTTI
Il metodo utilizzato nel processo di riforma è stato il peggior modo di riscrivere la Carta di tutti: molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato nelle Aule di Camera e Senato spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo al voto finale con una maggioranza racimolata e occasionale. Quello stesso Parlamento la cui composizione è deformata e alterata da un premio di maggioranza illegittimo, e che ha visto in quasi tre anni ben 244 membri (130 deputati e 114 senatori) cambiare Gruppo principalmente per sostenere all’occorrenza la maggioranza, ha infatti portato avanti la riforma, su richiesta dell’Esecutivo, utilizzando gli strumenti parlamentari acceleratori più estremi, delineando un vero e proprio sopruso nei confronti delle garanzie e delle prerogative riconosciute all’opposizione.
3) NO PERCHE’ IL REFERENDUM NON POTRA’ SANARE NE’ COMPENSARE UN VIZIO DI ORIGINE
Alla mancanza di legittimazione della riforma in atto non potrà sopperire nemmeno il referendum. Quest’ultimo infatti non può essere sostitutivo di una deliberazione viziata nel suo fondamento. Soprattutto se la riforma è stata costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale, come confermato dall’enfasi che è stata posta dallo stesso Presidente del Consiglio sul futuro risultato referendario, che ha grottescamente trasformato il referendum su una Costituzione che dovrebbe essere di tutti in una sorta di macro questione di fiducia su se stesso.
4) NO PERCHE’ LA COSTITUZIONE DEVE UNIRE E NON DIVIDERE
La Costituzione costituisce l’identità politica di un popolo. E’ stato così nel miracolo costituente del 1948, con una Costituzione approvata quasi all’unanimità e che ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo del nostro Paese. Certamente quell’impianto necessitava di riforme, che si inseguono invano da decenni, ma questa riforma costituzionale per il suo codice genetico e per i suoi contenuti destituisce il meglio della tradizione democratica del nostro Paese: divide anziché unire, lacera anziché cucire, porta le cicatrici di una violenza di una parte sull’altra. Questa riforma nasce già fallita.
5) NO PERCHE’ IL COMBINATO DISPOSTO CON LA LEGGE ELETTORALE PORTA A UN PREMIERATO ASSOLUTO
La sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale spiana la strada ad un mostro giuridico che travolge i principi supremi della Costituzione. L’“Italicum”, infatti, aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera – che può decidere senza difficoltà, a maggioranza, in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali – nelle mani del leader del partito vincente (anche con pochi voti) nella competizione elettorale.
6) NO PERCHE’ SALTANO PESI E CONTRAPPESI
E’ il modello dell’uomo solo al comando. Nascerebbe una sorta di “Premierato assoluto” che, come sottolineato da tanti esperti in materia, diventerebbe privo degli idonei contrappesi. Ne vengono effetti collaterali negativi anche per il sistema di checks and balances. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei componenti della Corte costituzionale, del Csm.
7) NO PERCHE’ IL NUOVO SENATO E’ SOLO UN PASTICCIO
Le funzioni attribuite al nuovo Senato sono ambigue e il modo di elezione dei nuovi senatori è totalmente confuso, prevedendo peraltro che siano rappresentati enti territoriali (regioni e comuni) con funzioni molto diverse. Non potrà funzionare.
8) NO PERCHE’ NON FUNZIONA IL RIPARTO DI COMPETENZE STATO-REGIONI-AUTONOMIE LOCALI.
Il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni non porterà affatto alla diminuzione dell’attuale pesante contenzioso. Piuttosto lo aumenterà. La tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, è infatti largamente imprecisa ed incompleta. Non è vero che la competenza concorrente è stata eliminata: in molte materie, come quella “governo del territorio” rimane gattopardescamente una concorrenza tra “norme generali e comuni” statali e leggi regionali. Inoltre, siccome i poteri legislativi del nuovo Senato sono configurati in maniera confusa, nasceranno ulteriori conflitti di legittimità costituzionale riguardo ai diversi procedimenti previsti nella riforma.
9) NO PERCHE’ SI SOSTITUSCE IL CENTRALISMO AL PLURALISMO E ALLA SUSSIDIARIETA’, E SI CREA INEFFICIENZA
La stessa riforma del Titolo V della Costituzione, così come riscritta, tornando ad accentrare materie che, nel riordino effettuato nel 2001, erano state assegnate alle Regioni, matura l’eccesso opposto, ovvero un centralismo che non è funzionale all’efficienza del sistema. Aumenterà la spesa statale, e quella regionale e locale, specie per il personale, non diminuirà. Ci si avvia solo verso la destituzione del pluralismo istituzionale e della sussidiarietà. Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, che è clamorosamente smentito dal farraginoso procedimento legislativo e da un rapporto Stato-Regioni che non valorizza per nulla il principio di responsabilità e determina solo un inefficiente e costoso neo-centralismo. Se proprio si voleva ragionare sul taglio dei costi, e sulla riduzione degli eletti, andavano magari fatte scelte più drastiche.
10) NO PERCHE’ NON SI VALORIZZA IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’
Lo Stato attraverso la clausola di supremazia (una vera e propria clausola “vampiro”) potrebbe riaccentrare qualunque competenza regionale anche in Regioni che si sono dimostrate più virtuose e responsabili dello Stato stesso, contraddicendo tanto l’efficienza quanto il fondamentale principio autonomistico sancito all’articolo 5 della Costituzione, secondo il quale si dovrebbero riconoscere e promuovere le autonomie locali.

PERCHE' VOTARE NO AL REFERENDUM DI OTTOBRE


GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: NULLA CAMBIA.....PERCHE' TUTTO POSA CAMBIARE.........

GIORGIO CAVAZZOLI-VICE COORD. PROV.DI MODENA DI FORZA ITALIA: NULLA CAMBIA.....PERCHE' TUTTO POSA CAMBIARE.........: Sono tre giorni che escono articoli che mi "citano" nei quali si parla del sottoscritto senza nemmeno avermi contattato o chi...

domenica 1 maggio 2016

venerdì 1 aprile 2016