Alleanza Cattolica
«È la mondanità spirituale che uccide la Chiesa»
di Massimo Introvigne
La nuova Bussola Quotidiana, 7 ottobre 2013
Il
4 ottobre 2013 Papa Francesco si è recato in pellegrinaggio ad Assisi,
dove ha pronunciato diversi discorsi. Come ha rilevato su queste colonne
Riccardo Cascioli, qualcuno si attendeva novità radicali sulla rinuncia
della Chiesa alle sue vere e presunte ricchezze, ma Francesco ha
liquidato le anticipazioni giornalistiche come «fantasie», una grande
lezione a chi prende per buono il Papa riveduto e corretto dai
giornalisti.
«In
questi giorni - ha detto Francesco incontrando i poveri della Caritas
nella Sala della Spoliazione del vescovado di Assisi - sui giornali, sui
mezzi di comunicazione, si facevano fantasie. “Il Papa andrà a
spogliare la Chiesa, lì!”. “Di che cosa spoglierà la Chiesa?”.
“Spoglierà gli abiti dei Vescovi, dei Cardinali; spoglierà se stesso”».
Certamente, come san Francesco (1182-1226) si spogliò delle sue vesti di
giovane ricco e mondano, anche la Chiesa deve «spogliarsi». Però
«quando nei media si parla della Chiesa, credono che la Chiesa siano i
preti, le suore, i Vescovi, i Cardinali e il Papa. Ma la Chiesa siamo
tutti noi!». Se dunque «dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, tutti
dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di
spogliazione». «Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano -
dicono - senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo
diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose
dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero!».
La
domanda che il Papa si è posto è: «Ma di che cosa deve spogliarsi la
Chiesa?». La risposta è chiara, e si situa su un piano del tutto diverso
dalle «fantasie» giornalistiche. «Deve spogliarsi oggi di un pericolo
gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo
della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del
mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza,
all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. È un idolo! E l’idolatria è
il peccato più forte!».
Francesco
è tornato su un tema chiave del suo Magistero: la mondanità spirituale.
È certamente necessario, ha affermato, spogliarsi della mondanità
materiale, che è la brama di ricchezze e di denaro. Ma per la Chiesa una
tentazione ancora peggiore è la mondanità spirituale, che è tanto più
insidiosa in quanto colpisce anche chi alla mondanità materiale ha
rinunciato. È il fare il bene, magari farsi anche materialmente poveri,
ma per l’applauso del mondo o per mero umanitarismo e non per Dio.
«Spogliarsi di ogni mondanità spirituale, che è una tentazione per
tutti» - ha spiegato il Papa - significa allora «spogliarsi di ogni
azione che non è per Dio, non è di Dio». Un’azione che è anche buona e
benefica in astratto, ma che non è fatta per Dio. «La mondanità ci fa
male. È tanto triste trovare un cristiano mondano». «È proprio ridicolo
che un cristiano - un cristiano vero - che un prete, che una suora, che
un Vescovo, che un Cardinale, che un Papa vogliano andare sulla strada
di questa mondanità, che è un atteggiamento omicida. La mondanità
spirituale uccide! Uccide l’anima! Uccide le persone! Uccide la
Chiesa!».
Incontrando
i bambini disabili e ammalati, Francesco ha ancora una volta condannato
la «cultura dello scarto», che rifiuta i più deboli e talora li elimina
fisicamente anziché accoglierli, come dovrebbe fare una vera «civiltà
umana e cristiana». E nell’omelia della Messa in Piazza San Francesco -
dove ha invocato pace per la Siria e anche per la turbolenta vita
politica di quell’Italia che ha in san Francesco il suo patrono - ha
chiarito qual è la vera lezione del santo di Assisi, da non confondersi
con un «san Francesco che non esiste», «sdolcinato» e «panteista»,
un’invenzione moderna cui purtroppo tanti hanno prestato fede.
«La
pace francescana - ha detto il Pontefice - non è un sentimento
sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una
specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo
non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che
alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e
la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”». Francesco è diventato
santo davanti al crocifisso, pregando e adorando, e insegnandoci a fare
altrettanto. Senza la preghiera e l’adorazione san Francesco non esiste,
è un falso san Francesco. «San Francesco viene associato da molti alla
pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che
Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata
attraverso l’amore più grande, quello della Croce».
Così
pure, è giusto ad Assisi chiedere «il rispetto per tutto ciò che Dio ha
creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per
distruggerlo». Ma senza panteismi che neghino il ruolo centrale
dell’uomo, senza mai dimenticare che san Francesco vuole anche «che
l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio - il Creatore -
lo ha voluto».
Come
tradurre questo spirito in azione pastorale? Ripartendo - ha detto il
Papa nella cattedrale di San Rufino incontrando la comunità diocesana -
dalla Parola di Dio: «dobbiamo diventare tutti più ascoltatori della
Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi
delle sue Parole». «Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna
ascoltare Gesù che parla in esse [...]. Bisogna essere antenne che
ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che
trasmettono!». Chi pensa di trasmettere senza ricevere annuncia la sua
parola e non quella di Dio. In chiesa ne nascono le «omelie
interminabili, noiose», in famiglia un’educazione che, più che la Parola
di Dio, trasmette «la parola del telegiornale», in parrocchia le
gestioni burocratiche e anonime mentre i vecchi parroci conoscevano il
nome di tutti i fedeli, e - ha detto Francesco - perfino «il nome del
cane» di ogni fedele, tra gli sposi l’incapacità di perseverare senza
separarsi, mentre il consiglio del Papa alle coppie è: «Litigate quanto
volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza
fare la pace! Mai!».
Nell’incontro
con i giovani dell’Umbria il Pontefice è tornato sul tema del
matrimonio, con un altro consiglio pratico che ha strappato il sorriso:
«Quando viene da me una mamma che mi dice “Ho un figlio di trent'anni ma
non si sposa, non si decide, ha una bella fidanzata ma non si sposano”,
io le rispondo “Signora, non gli stiri più le camicie!”». Ma la battuta
si collega a una meditazione profonda sulla perdita del senso del
matrimonio nella nostra società: «La società in cui voi siete nati
privilegia i diritti individuali piuttosto che la famiglia, le relazioni
che durano finché non sorgono difficoltà, e per questo a volte parla di
rapporto di coppia, di famiglia e di matrimonio in modo superficiale ed
equivoco. Basterebbe guardare certi programmi televisivi».
Francesco
- che nel discorso ai giovani ha esaltato la verginità per il Regno di
Dio e il celibato sacerdotale come «la vocazione che Gesù stesso ha
vissuto» - ha voluto incontrare le suore clarisse nella Basilica di
Santa Chiara, per ribadire il ruolo indispensabile della vita
contemplativa nella Chiesa. Infatti, è dalla contemplazione che nasce la
capacità di comprendere e di aiutare. Il segno che la contemplazione è
adeguata e feconda è la gioia. «A me da tristezza - ha detto il Papa -
quando trovo suore che non sono gioiose. Forse sorridono, ma … con il
sorriso di un’assistente di volo, no? Ma non con il sorriso della gioia,
di quella che viene da dentro, eh? Sempre con Gesù Cristo. Oggi nella
Messa, parlando del Crocifisso, dicevo che Francesco lo aveva
contemplato come con gli occhi aperti, con le ferite aperte, con il
sangue che veniva giù: e questa è la vostra contemplazione, la realtà.
La realtà di Gesù Cristo. Non idee astratte. Non idee astratte, perché
seccano la testa!».
Scherzosamente,
Francesco ha invitato le clarisse a non essere «troppo spirituali»,
ricordando come la «fondatrice dei monasteri della concorrenza vostra,
Santa Teresa» (d’Avila, 1515-1582), quando si presentava una novizia con
ubbie mistiche diceva alla cuoca: «Dalle una bistecca». «Ricordatevi
della bistecca di Santa Teresa», ha raccomandato il Papa alle suore,
esortandole anche a vivere in comunità senza chiacchiere e maldicenze:
«Il diavolo approfitta di tutto per dividere! Dice: ‘Ma … io non voglio
parlare male, ma …’, e incomincia la divisione».
Quelle
sul primato della contemplazione e sul matrimonio sono verità da
trasmettere senza paura, non dimenticando di andare alle «periferie»,
che - il Pontefice lo ha voluto spiegare per l’ennesima volta in
cattedrale - «sono luoghi, ma sono soprattutto persone» lontane dalla
Chiesa, magari «di classe media» e tutt’altro che povere, ma dove si
trovano bambini che «non sanno farsi il segno della croce» e adulti che
ignorano le verità elementari del Catechismo. «Queste sono vere
periferie esistenziali, dove Dio non c’è».
«Non
abbiate paura di uscire - ha concluso il Papa - e andare incontro a
queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da
pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal famoso “si è
sempre fatto così!”. Ma si può andare alle periferie solo se si porta
la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san
Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e
questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il
mondo: è proprio il Signore che lo salva!».
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