Ancora un mese abbondante di campagna elettorale: la partita delle elezioni è davvero chiusa? La tendenza è chiara, ma guai a calare il sipario troppo in fretta, almeno a quanto riportano i maggiori centri di ricerca sui flussi elettorali.
Il dato che mette tutti d’accordo è uno: Pd e coalizione di centrosinistra sono ancora in vetta sul numero di potenziali preferenze – e conseguenti seggi – ma lo schieramento guidato da Pier Luigi Bersani comincia a perdere colpi.
Finita la luna di miele con l’elettorato in seguito alle primarie, che hanno proiettato il Partito democratico a picchi di consenso mai raggiunti dalla sua nascita, il centrosinistra soffre, seppur ancora riuscendo a contenerla, la riscossa di Berlusconi.
Non passa giorno, infatti, che il Cavaliere non presenzi a una trasmissione, televisiva o radiofonica, incentrata sulla campagna elettorale, al punto da stabilire il nuovo record a 63 ore di ospitate in 21 giorni, e questo solo sul piccolo schermo. Da “Unomattina” a “Radio anch’io”, da “Omnibus” a “Pomeriggio Cinque”, una strategia chiaramente mirata a raggiungere più pubblico – e dunque fasce di elettorato – possibile; se vogliamo, tattica non proprio all’avanguardia in tempo di social media, ma che rappresenta l’habitat ideale del Cavaliere.
In questo, naturalmente, è da ravvisare, come giustamente ha fatto notare Alexander Stille, una certacomplicità del sistema mediatico nazionale: il Cavaliere garantisce ascolti e polemiche, fa parlare di sé e della trasmissione a cui partecipa. Un circolo vizioso che non risparmia nessuno, basti pensareall’arcinemico Santoro improvvisamente nelle vesti di “sherpa” della risalita berlusconiana.
Ormai, infatti, pare assodato: se davvero queste elezioni segneranno la resurrezione politica del Cavaliere,il punto di svolta resterà impresso negli annali allo scorso 10 gennaio, quando il leader Pdl è uscito a testa alta dall’attesissimo confronto negli studi di “Servizio pubblico”.
Il centrosinistra, da par suo, è chiamato a una netta inversione di tendenza. Che Bersani non sia il politico più avvezzo a occupare titoli dei Tg e prime pagine, è cosa nota, ma la campagna elettorale è una gara a eliminazione: chi non appare, o non riesce a imporre i suoi temi al circuito mediatico, ha tutto da perdere.
E, come si diceva, i giochi sono tutt’altro che conclusi: se alla Camera la coalizione di Bersani dovrebbe agevolmente prendere il premio di maggioranza, al Senato la rimonta di Berlusconi può costare carissimo.Per il Cavaliere, del resto, “vincere” significa, prima di tutto, essere determinante in un ramo del Parlamento, così da rendere difficile, se non impossibile, l’azione di governo.
Proprio come accadde nel 2006: la corazzata dell’Unione guidata da Romano Prodi arrivò a un mese dalle elezioni con svariati – alcuni dicevano 10 – punti di vantaggio, salvo poi prevalere alla Camera per un pugno di voti e riuscendo a generare una parvenza di maggioranza a palazzo Madama grazie ai senatoria vita.Esperimento, poi, miseramente fallito.
La storia e le analogie, insomma, dovrebbro insegnare a Bersani e ai suoi quanto sia sconsigliabile dormire sonni tranquilli, soprattutto quando di fronte ci si trova un leone, stanco e invecchiato, ma mai domo, al pari di Silvio Berlusconi.
L’ultimo sondaggio SWG per il programma “Agorà” attesta il Pd al 28,8% dal precedente 29,9%, con la coalizione quotata al 33%. Tendenza inversa, invece, per il Pdl che continua a rosicchiare voti sfiorando il 18%, ormai saldamente in seconda piazza tra i partiti italiani, con il MoVimento 5 Stelle fermo al seppur ottimo 16,8%.
La coalizione di Mario Monti, vero spauracchio, questo sì, per Berlusconi, resta stabile al 13,7%, sottraendo, con ogni probabilità, più preferenze alla coalizione guidata dal Pdl che a quella di centrosinistra. Tra gli altri,Rivoluzione civile di Antonio Ingroia si dimostra come un competitor da non sottovalutare al 5,4% , mentre Oscar Giannino e il suo “Fare” sono sopra il 2%.
Più ottimista, riguardo il Pd, è invece Ipsos, che, nell’ultima puntata di “Ballarò” ha presentato le sue rilevazioni aggiornate, assegnando ai democratici un ragguardevole 33%. Cifra che consentirebbe di blindare la maggioranza alla Camera, mentre al Senato i seggi saranno attribuiti sul filo di lana. In particolare, gli occhi sono puntati su alcune regioni ritenute chiave, sia per l’alto numero di senatori eletti, che per l’incertezza sullo schieramento prevalente.
E’ il caso, ad esempio, della Lombardia, del Veneto, della Sicilia e della Campania. Secondo Ipsos, il centrosinistra resta favorito in tutte queste regioni per qualche decimo di percentuale, anche se resta chiaro che ogni piccola oscillazione potrebbe determinare degli sconquassi sugli emicicli parlamentari.
Se davvero Pd, Sel e gli altri partiti alleati dovessero imporsi in tutte le regioni in bilico, allora anche al Senato la coalizione raggiungerebbe la soglia di sicurezza, portando a casa 172, forse addirittura 178, senatori.
Eppure, se guardiamo al sondaggio realizzato da Lorien per Italia Oggi, in Lombardia le truppe di Pd e Pdl sembrano appaiate a un incertissimo 31,5%, in una regione dove è in palio anche la poltrona di governatore. Più ampio, per lo stesso istituto, il margine in Veneto, dove il centrosinistra guida con il 35% contro il 24,5% dei rivali.
C’è, poi, un partito di cui nessuno parla, ma che si gioca col Pd la palma di prima forza politica italiana: gli astensionisti. A oggi, coloro che si dichiarano indecisi o sicuri di non votare, secondo i centri demoscopici, rappresentano il 30% del corpo elettorale: se tale porzione dovesse assottigliarsi, i rapporti di forza, nazionali e locali, potrebbero mutare, e non di poco.
Insomma, scorrendo le percentuali, Bersani è ancora in pole position per diventare presidente del Consiglio, ma commetterebbe una leggerezza imperdonabile se, come negli ultimi giorni, mantenesse l’impressione di voler abbassare la guardia: queste elezioni può davvero perderle soltanto lui.
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