Hanno tagliato le spese, puntano di nuovo sull'innovazione e si danno battaglia sui mercati emergenti. Ma i più importanti Ceo del mondo vedono ancora nero. Il 28 per cento prevede un'ulteriore contrazione dell'economia a fronte del 18 per cento di inguaribili ottimisti e un 52 per cento di attendisti che non vedono cambiamenti all'orizzonte. E' questo il risultato del tradizionale sondaggio di Pwc che viene diffuso alla vigilia del World Economic Forum nel quale la società di consulenza ha raccolto l'opinione di 1.500 capi azienda di oltre 68 paesi, tra cui oltre 40 italiani che evidenziano la poca attenzione del governo a favorire un contesto di innovazione e di creazione di lavoro competente.
La crisi sembra essere diventata parte integrante del meeting di Davos, come la neve che imbianca le montagne e le dive che fanno da cornice a eventi di tipo sociale (ieri l'attrice Charlize Theron ha posato per lanciare una campagna di raccolta fondi). Ma i top manager e i capi di governo che sono arrivati alla spicciolata hanno trovato tra le nevi raccontate da Thomas Mann il solito rituale: grandi temi, discussioni, nuovi slogan, ma anche coppe riempite di champagne e affari.
Il forum prenderà il via oggi. E quest'anno la novità è proprio rappresentata dal fatto che un italiano aprirà i lavori, il presidente del consiglio Mario Monti. Il premier italiano è conosciuto a Davos dove è più volte venuto quando era commissario europeo e sfoderava la spada contro le multinazionali. L'accoglienza di certo non sarà ostile. La tradizionale indagine di Pwc però non spiana la strada.
La fotografia, nel confronto internazionale, vede i Ceo italiani mediamente più ottimisti, anche se la fiducia sul futuro segna un calo rispetto ad un anno fa: la "confidence" a 12 mesi, che nel 2010 era al 75 per cento, è calata al 60 per cento nel 2011 e ora flette al 59 per cento. Ad una domanda specifica sull'azione del governo gli italiani ammettono (al 43 per cento) che le misure adottate sono state efficaci per garantire la stabilità del settore finanziario.
Ma il giudizio su altri capitoli rimane tranchant, con un significativo gap tra Italia da un lato e Francia-Germania dall'altro. Alla domanda se il governo supporta l'innovazione nel settore privato rispondono positivamente solo il 7 per cento degli italiani, contro il 42 per cento del francesi e il 36 per cento dei tedeschi. E, nonostante la riforma della contrattazione, se si parla del ruolo per la formazione di forza lavoro competente, gli italiani solo nel 5 per cento dei casi plaudono il governo, contro il 14 per cento dei tedeschi e il 21 per cento dei francesi. Idem anche per l'impegno a ridurre il carico normativo delle imprese: solo per il 5 per cento c'è stato un miglioramento; un giudizio che però in questo caso italiani condividono con i colleghi francesi e tedeschi.
I problemi critici per l'Italia non sono cambiati. L'aumento del carico fiscale è la minaccia più importante per il business: l'86 per cento lo teme (contro il 46 per cento dei Ceo tedeschi), seguito dal costo dell'energia (57 per cento, contro il 34 per cento dei francesi). Tra le minacce generali c'è anche l'eccesso di regolamentazione (67 per cento).
Il report, ricco di tabelle, consente anche di toccare con mano l'intensità della crisi in Italia. Così per resistere le imprese italiane hanno ridotto i costi negli ultimi 12 mesi: lo dice l'83 per cento degli intervistati, contro il 77 per cento del campione mondiale. Ma questa sarà la strategia seguita anche nei prossimi 12 mesi (almeno per l'81 per cento degli intervistati). la ricerca della "giusta taglia" è del resto tra le priorità dei Ceo italiani. Ma se si guarda al lavoro si individua un altro gap: il 41 per cento degli intervistati ha ridotto i dipendenti, il 42 per cento lo farà nel prossimo anno.
Nelle tabelle "mondo", invece, solo il 25 per cento del top manager dice di aver ridotto i lavoratori, una quota che scende al 19 per cento in Francia e sale al 29 per cento in Germania. Non c'è però solo questo. Così Ezio Bassi, senior partner di Pwc Italia mette in risalto che si sta valutando la necessità di una profonda business trasformazione dei prodotti offerti ai clienti, attraverso modelli di business innovativi ad alto valore aggiunto". E per farlo si cercano anche "nuovi talenti manageriali": una peculiarità per la quale gli italiani appaiono decisamente più aperti del resto del mondo.
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