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martedì 12 novembre 2013

CULTURIAMO . . . . .

Se il marxista scopre le radici cristiane dell'Occidente
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C’è una pagina de All’origine della pretesa cristiana di Luigi Giussani che a mio avviso ha qualcosa da dire, tra l’altro, anche riguardo alla crisi in cui siamo oggi che - come acutamente ebbe a osservare Papa Francesco - prima che economica e politica, è antropologica. Si tratta del punto in cui Giussani cita un racconto mitico che sta alle origini della cultura europea, così come ce lo ripropone Mircea Eliade.

«Si tratta di un particolare della leggenda di Parsifal e del Re Pescatore. Si ricorda che il vecchio Re, detentore del segreto del Graal, era paralizzato da una malattia misteriosa. Non era del resto il solo a soffrire: intorno a lui tutto cadeva in rovina, andava in disfacimento, il palazzo, le torri, i giardini; gli animali non si moltiplicavano più, gli alberi non davano più frutti, le sorgenti si prosciugavano. Numerosi medici avevano cercato di curare il Re Pescatore senza il minimo risultato. Giorno e notte arrivavano cavalieri e tutti cominciavano col domandare notizie circa la salute del Re. Un unico cavaliere – povero, sconosciuto e perfino un po’ ridicolo – si permise di ignorare il cerimoniale e le buone maniere. Il suo nome era Parsifal. Senza tener conto del cerimoniale di corte si diresse direttamente verso il Re e senza alcun preambolo gli chiese: Dov’è il Graal?. In quell’istante tutto si trasforma: il Re si alza dal suo letto di sofferenza, l’acqua riprende a scorrere nei fiumi e nelle fontane, la vegetazione rinasce (…)».

Che cosa, osserva Giussani, con questo dettaglio della leggenda ci si vuole indicare? Che “non solo esiste un’intima solidarietà tra la vita universale e la salvezza dell’uomo” ma che “basta porsi il problema della salvezza, basta porsi il problema centrale, ovvero il problema, perché la vita cosmica si rigeneri in perpetuo”. 

Con riguardo al caso italiano, pur con tutti i dovuti limiti meritano in tale prospettiva di venire attentamente considerati gli esiti di un convegno che, per iniziativa della Fondazione Magna Carta, ebbe luogo lo scorso 26 ottobre a Norcia, la piccola città umbra patria di San Benedetto. Anche se (oscurato dalla “convention” di Matteo Renzi, svoltasi in quel medesimo giorno a Firenze nell’auditorium  che ha sede nell’ex-stazione Leopolda) il convegno di Norcia ha avuto scarsa eco, vale ciononostante la pena di riscoprirlo perché camminava proprio in tale direzione. Sul tema “A Cesare e a Dio, Ratzinger oltre Ratzinger” vi si sono incontrate nella circostanza due scuole di pensiero e di esperienza per vari aspetti assai diverse tra loro: da un lato i promotori di Magna Carta, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella e altri, che si collocano nell’ambito del centrodestra; e dall’altro i “marxisti-ratzingeriani”, Giuseppe Vacca, Paolo Sorbi, Mario Tronti, noti tra l’altro per la “lettera aperta sull’emergenza antropologica” rivolta alla cultura e alla politica di sinistra che pubblicarono  nel 2011 insieme all’ora defunto Pietro Barcellona.

Gli uni e gli altri concordi tuttavia nel ritenere, come si leggeva nella «Traccia dei lavori» del convegno, che oggi “serve un pensiero forte che rimetta in condizione tutti noi di ripensare la realtà secondo presupposti chiari in grado di indirizzarla anziché lasciarla abbandonata a se stessa. La politica, sia a destra sia a sinistra, ne ha ugualmente e più che mai bisogno per perseguire il Bene Comune, non più frutto di astratte ideologie ma di concreti riferimenti che provengono dalla nostra tradizione e dalle nostre radici. Con il suo Pontificato, e ancor prima con la sua opera teologica, Joseph Ratzinger è stato interprete di questa necessità, declinata a partire da un comune richiamo, per laici e credenti, ai principi cristiani, condivisi dai popoli europei e unico antidoto al dilagante relativismo delle società contemporanee. Una riflessione, la sua, densa di significato e lungimirante nell’aver individuato le fragilità dell’Occidente, le stesse che lo avrebbero condotto verso la crisi endemica che sta attraversando”.

Al di là del fatto che i promotori del Convegno vedono con troppa preoccupazione il ritiro di Benedetto XVI, a mio avviso non cogliendo adeguatamente che egli non è una figura isolata bensì un anello, seppur importante, di una sequenza aurea che lo precede e lo segue, resta il fatto assai significativo e fecondo del comune riconoscimento del valore fondante per l’Occidente, e perciò per l’Italia, dell’eredità cristiana. E non solo come memoria ma anche come attuale presenza.

Chi volesse ulteriormente approfondire la questione può trovare direttamente sul sito www.magna-carta.it tutti i materiali del convegno, tra cui la relazione di Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci, dal titolo “Note di lettura della Lumen Gentium”, che è un documento senza precedenti nella storia della cultura politica italiana. A questo punto la domanda chiave che si pone è: come continuare? Al riguardo molto, se non tutto, dipende dalla capacità o meno di definire ambiti e  strumenti di riflessione che, pur essendo in prossimità del fare politico, né aspirino a coinvolgersi, né accettino di venire coinvolti nella dialettica politica immediata. Ambiti e strumenti che nella vita pubblica italiana oggi o mancano o non hanno adeguato sviluppo; e che quindi occorre far nascere e far crescere.

Robi Ronza

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