Centrodestra tra vera e finta rifondazione
Il dibattito interno al PDL che sta caratterizzando la scena politica
di questi giorni potrebbe diventare una grande opportunità per il
Centrodestra italiano, a patto di voler cambiare davvero metodo di fare politica, in un tempo che lo pretende.
Lo stesso Berlusconi, costretto da eventi perfino più grandi di lui,
ha davanti a sé l’occasione di rinnovare davvero il partito e
raggiungere così un doppio risultato: quello di non cambiare solo
l’etichetta di un soggetto politico, ma anche la stoffa e il modello; e
quello di evitare che la Storia mandi in rassegna il suo contributo alla
politica italiana classificandolo come ventennio da mettersi alle
spalle in tutta fretta. La parola ventennio, infatti, comprende
al suo interno tutti i limiti di un’attività pubblica che forse è
davvero il caso di trasformare in qualcosa di diverso.
Le forze moderate e cattoliche del Paese non possono esaurirsi
all’interno dello schema che qualcuno vorrebbe disegnare, uno schema
fatto di scandali, guiai giudiziari e questioni familiari di un singolo
individuo. Ed è un bene che l’asse si sposti su forze fresche e che il
dibattito cominci ad assomigliare ad un qualcosa di più democratico.
La stessa ineluttabile necessità di veder costretto Silvio Berlusconi
a scendere in campo di persona per poter vincere le elezioni è un
elemento di chiara debolezza per tutto il Centrodestra che invece è un
sistema più complesso del berlusconismo.
Tutto ciò riconoscendo a Berlusconi un carisma e un’intelligenza
politica indiscutibili. Quella che gli vale la lealtà di Raffaele Fitto,
il quale sta certamente lavorando per rinnovare il PDL, senza
distruggere il Centrodestra come rischiano di fare altri.
Ma i moderati sono in cerca di nuove sfide, nuovi protocolli comportamentali, nuovi obiettivi programmatici, se mi è consentito, un po’ più alti rispetto a quelli che si sono visti fin qui.
Gli italiani moderati, ma direi tutti i cittadini, hanno bisogno di
risposte adeguate ai tempi, di riforme, di istituzioni serie e forti, di
un’economia robusta e vitale. Tutte cose che l’Italia sta perdendo e
che fino ad ora nessuna forza politica ha veramente fatto in modo di
trasformare in realtà.
Le sfide sono lì, pronte ad essere raccolte, ma si preferisce
dividersi sul nome di PDL o Forza Italia o si attende di vedere che fine
toccherà in sorte allo storico leader prima di muoversi per conto
proprio. È chiaro che in questo scenario altre forze, certamente più
sgangherate o estremiste, potrebbero avere il sopravvento.
Il Centrodestra ha una enorme responsabilità e deve preoccuparsi di
ripartire sui binari giusti, perché altrimenti i treni buoni finiranno
nelle mani dell’antipolitica che con pochi gesti e molta confusione è in
grado di ribaltare le regole del gioco.
Maggiore partecipazione, quindi, e forze fresche, nuove energie,
attori senza troppe rughe politiche e soprattutto espressione della
società civile, gente con idee e coraggio.
Si può fare, come no. Chi dice il contrario è in mala fede. Si può
fare se si mette al primo posto il bisogno di riscattare l’immagine
della politica italiana. Se si punta con decisione e la giusta
determinazione nella direzione delle riforme istituzionali.
Abbiamo bisogno di eliminare gli sprechi e gli Enti
inutili. Ma non abbiamo bisogno di Governi che abbattono le Province con
un colpo di spugna senza preoccuparsi del poi, abbiamo bisogno, invece,
di Governi capaci di governare il cambiamento e mettersi al passo con
l’Europa e il mondo.
Occorre un’attività di riorganizzazione dell’architettura statale a
partire dalle regioni e di un lavoro di manutenzione politico
amministrativa.
Un nuovo regionalismo di cui oggi discutiamo con maggiore serenità,
finalmente. Senza dividerci tra campanili e primogeniture, ma
nell’interesse dei territori. Dare all’Italia istituzioni solide e
solide fondamenta per poter lavorare con i giusti mezzi alla causa della
crescita e dello sviluppo.
Partiamo dalla abolizione dei mille carrozzoni che pesantemente ci
trasciniamo dietro e che i cittadini sorreggono a volte
inconsapevolmente, alleggeriamo le Regioni, autentiche fornaci della
spesa pubblica, e avviciniamole al modello anglosassone di piccoli Stati
autonomi, forti e inseriti in un sistema equilibrato, dove non ci siano
Regioni potentissime e Regioni Cenerentola.
L’Italia viaggia a due velocità, perché regala ad alcune latitudini
regioni come il Veneto e la Lombardia e ad altre regioni come il Molise e
la Basilicata. Ma non è solo questione di dimensioni, anzi. È proprio
quello il problema. Un territorio di oltre quattrocento km di lunghezza
come la Puglia non si regge in piedi, gli amministratori non lo possono
visitare tutto nemmeno una volta in due mandati governativi, con il
rischio di dare qui e togliere altrove, senza nessun principio di civica
equità.
Disegnare sulla carta è un conto, ma poi occorre rinnovare
responsabilmente anche i gruppi e la classe dirigente, perché è chiaro
che Regioni diverse con le stesse persone al comando non risolvono un
bel niente.
Il Centrodestra ha da riflettere, ma deve farlo subito. Se mette mano
al rinnovamento della sua dirigenza a vari livelli e punta sulla
riorganizzazione dell’apparato burocratico statale, può diventare
un’opera d’arte. Altrimenti rimarrà la solita vecchia crosta.
Nessun commento:
Posta un commento