L’Udc verrà sciolto. Ormai sarebbe già tutto deciso. L’indiscrezione trapela da fonti molto vicine alla dirigenza del partito. Il dado è tratto, il partito di Pier Ferdinando Casini non esisterà più, forse, già dalla prossima riunione del Consiglio nazionale di fine aprile. Il partito di centro – nato da tre costole della Dc, che non accettò di entrare nel Ppi e di confluire nel centrosinistra, prima dando vita a un’alleanza con Silvio Berlusconi nella Casa delle libertà e poi accettando di correre in solitaria contro Pd e Pdl, utilizzando una logica utilitaristica che fino a un certo punto ha anche pagato – tra breve potrebbe essere solo un ricordo.
Rottamare nome e simbolo. La tempesta delle ultime elezioni ha spinto la barca centrista a schiantarsi contro le rocce, l’urto è stato fortissimo ed ha creato morti e feriti. L’Udc è sceso all’1,8%, portando a casa solo 10 parlamentari (8 deputati e 2 senatori), contro i 39 (36 deputati e 3 senatori) del 2008, quando il partito prese il 5,6% alla Camera con più di 2 milioni di voti. Una sconfitta che avrebbe già decretato la fine dell’Unione dei Democratici Cristiani e di Centro, visto che l’élite del partito non crede di poterne risollevare le sorti, se non in tempi molto lunghi. La dirigenza, fiutato il vento che tira, avrebbe deciso di rottamare un nome e un simbolo ormai sorpassati e divenuti troppo ingombranti, specie a fronte del “grillismo” montante.
L’alleanza con Monti? “Un errore”. Al Consiglio nazionale seguito alle disastrose elezioni, Casini era assente. Il leader “maximo” ha motivato la cosa adducendo la necessità di un confronto e di una critica senza peli sulla lingua, che la sua presenza avrebbe in qualche modo ostacolato. Nella lettera inviata ai suoi ha comunque fatto intuire più di qualcosa: “Per quanto mi riguarda so che una stagione si è chiusa…”, ha scritto. Parole piuttosto chiare, anche se nessuno ha pensato ad una decisione così repentina. Nel vertice di marzo non sono emersi grossi scontri, ma Casini sarebbe assediato dalle critiche. In molti, in troppi, non gli perdonano la scelta di legarsi a Monti, il non aver capito che il progetto, lo schema elettorale a più liste e il programma tutto responsabilità e sacrifici in nome del dettato europeo, non solo non avrebbero attratto il voto popolare, ma avrebbero allontanato anche il proprio elettorato.
Fagocitati dal Professore. Al dunque, dopo tentennamenti ed equilibrismi durati anni e lunghi giri per mari agitati, lo zoccolo duro, quel 5-6% dell’elettorato abituale che sembrava impossibile da scalfire, è finito tra le braccia del professore. Per molti un vero paradosso. Corteggiati da destra e da sinistra, i voti dell’Udc sono stati regalati al premier uscente, l’unico che non li aveva chiesti esplicitamente. Anzi, era sembrato sempre un po’ snobbare quell’avanzo di seconda Repubblica. Molti esponenti del partito sarebbero furibondi. Dirigenti, quadri e base hanno – fors’anche col senno di poi – mal sopportato le ultime scelte del loro timoniere. Troppo lo spazio avuto a disposizione da Monti, mentre l’Udc è praticamente sparito. L’alleato bocconiano, inoltre, ha spesso fatto fuoco contro i partiti tradizionali, compreso quello centrista. Monti ha dimenticato in fretta la fedeltà, quasi a scatola chiusa, dimostrata al suo governo da Casini. E con Bondi, ha subito imposto il “test di verginità” per i candidati, chiedendo l’esclusione per Cesa e Buttiglione – segretario e presidente del partito -, poi imposti a forza e trombati entrambi. Ma non sono pochi nemmeno coloro che rinfacciano a Casini i familiari piazzati in lista. Anche per questi motivi lo scioglimento sarebbe ormai cosa fatta e verrà ufficializzato nel prossimo Consiglio nazionale del 27 e 28 aprile.
Il padre padrone. Il partito, sorto nel 2002 dalla fusione del Ccd di Casini, col Cdu di Buttiglione e con il DE di D’Antoni, con ogni probabilità morirà quel giorno. Ma per fare cosa, resta un mistero. In parecchi diffidano di Casini che già all’indomani della scoppola elettorale, in una delle prime esternazioni, aveva reso omaggio alle capacità di Berlusconi di interpretare la corsa alle urne. La posizione del leader è difficile. Tanti nel partito lo apprezzano ancora, ma altri storcono la bocca per i toni da capo assoluto che ha via via assunto. Quasi che il partito – erede della Balena bianca delle correnti, dove anche un Andreotti e un Forlani avevano i propri avversari -, avesse ormai trovato un padrone. Nel tempo, fuoriusciti Follini, Tabacci, Baccini, Giovanardi ed altri, Casini e la sua cerchia più stretta hanno incarnato tutto il potere. Non sono pochi coloro i quali descrivono Casini come un capo carismatico che guida il suo partito personale come vuole, sfoggiando la sua bella faccia tra sigari ed elegantissimi completi blu. Secondo alcuni l’ex delfino di Forlani avrebbe messo il cappello su una creatura politica originariamente ispirata a quel pluralismo di apporti diversi alla base di una sintesi politica molto spesso risultata vincente: la Democrazia Cristiana.
Il “partito” di Caltagirone. Altri tempi, certo. Eppure, dopo la sberla elettorale, alcuni notano come della Dc si sia presa solo l’anima più vicina ai posti di puro potere e si sia smarrita, invece, la carica popolare insita nella storia dello scudo crociato. Soprattutto da quando – come dicono i malevoli – “Casini è diventato il signor Caltagirone”, sposando Azzurra, la figlia del palazzinaro numero uno a Roma e non solo. Un matrimonio che ai fini politici è una garanzia di ricchezza – i vari rami della famiglia Caltagirone sono praticamente i soli donatori privati del partito – e visibilità, ma non è certo attraente per il ceto medio-basso, cattolico e non.
Un rinnovamento difficile. C’è anche chi gli errori avrebbe voluto farli pesare. Casini però non si è visto e la settimana scorsa la linea del segretario Cesa è passata con un solo voto contrario e due astenuti. Il segretario ha anche annunciato un passo indietro: lascerà la segreteria che ricopre fin dal 2005, quando era succeduto a Follini. Lo stesso farà Buttiglione. Ma il largo ai giovani rischia di restare sulla carta. E nonostante, tra gli altri, proprio Buttiglione abbia optato per la sopravvivenza del partito, in realtà, tutto sarebbe già deciso e a fine aprile il Consiglio reciterà il de profundis per l’Udc.
Verso un nuovo centro. Cosa accadrà dopo nessuno lo sa. C’è chi teme il si salvi chi può e chi è convinto di un approdo comune – con la cassa del partito – verso una realtà altra, più inclusiva e forse in grado di far vivere quel tanto sospirato “polo di centro” che Casini non è mai riuscito a costruire. Le premesse, se del nuovo partito di Monti vogliamo parlare, non sembrano incoraggianti, ma, tant’è, finché c’è vita c’è speranza e Casini questo lo sa.
Nessun commento:
Posta un commento