La riforma della legge elettorale torna a dividere il Pd di Pier Luigi Bersani dall’Udc di Pier Ferdinando Casini. Il botta e risposta è durissimo. A dare fuoco alle polveri per primo è Bersani. Il segretario democrat inizia una giornata romana fitta d’impegni al teatro Eliseo dove è ospite di un’incontro organizzato dal settimanale Left, inserto dell’Unità. Gli argomenti sul tappeto sono molti, ma l’oggetto del contendere è uno, la bozza Malan. Pdl, Lega e Udc (ma anche Mpa, Api e Cn, tutti tranne Pd e Idv) hanno votato, per ora solo in commissione Affari costituzionali del Senato, una soglia d’ingresso per ottenere il premio di maggioranza, fissandola al 42,5%.
La soglia, già definita «un colpo di stato» da Beppe Grillo, suscita l’aperta ostilità di Bersani: «E’ un modo per indebolire la governabilità e creare, nel Parlamento, la palude. Deve essere molto più bassa (il Pd punta almeno al 40%, ndr). Altrimenti ci metteremo di traverso». Fino, forse, a dare vita a un vero e proprio ostruzionismo parlamentare. «E chi crede o spera – ammonisce Bersani, con chiaro riferimento ai montiani – che la frammentazione porti al Monti-bis è da ricovero. Serve una maggioranza politica». Infine, la stoccata, dura, al leader dell’Udc: «Casini morirà di tattica. Dove vuole andare?».
Casini non ci sta e, da un’iniziativa promossa dal suo partito per costruire sui territori, a partire dalla Capitale, risponde: «Una soglia per attribuire il premio di maggioranza alla coalizione che prende più voti ci vuole, è il minimo». Come dire: non si discute. «Altrimenti – continua Casini – se Bersani e Grillo, che protesta tutti i giorni sulla riforma elettorale che si va faticosamente tessendo in Parlamento, preferiscono il Porcellum (che prevede il premio del 55% dei seggi alla prima coalizione vincente senza alcuna soglia d’accesso, oltre alle liste bloccate, ndr) lo dicano e lo spieghino».
Del resto, conclude il leader dell’Udc, «uno che prende il 30% dei voti (cioè il Pd, a stare ai sondaggi, ndr) non si capisce perché dovrebbe avere poi il 55% dei seggi». Quanto al Monti-bis, Casini raccoglie anche qui la provocazione di Bersani e rilancia: «Io ci vado, al ricovero, ma con tanti esponenti del Pd, anche vicini a Bersani». Enrico Letta e non solo, è il sottinteso. Poi l’ultima stoccata: «Non siamo sudditi di Berlusconi, non lo saremo di Bersani».
Il segretario democratico si sposta a un’iniziativa del Psi di Riccardo Nencini in un altro teatro, il Capranica. Bersani ribadisce le critiche alla legge elettorale in discussione, spiega che sull’altro punto in discussione – quel premio di consolidamento al primo partito che, per lui, «non può essere inferiore al 10%, ma vero», come proposto dal professor D’Alimonte - il Pd non intende cedere, ma cerca di smussare gli angoli della polemica con Casini.
«Ragazzi – dice con un sorriso – non ho mica peccato di lesa maestà! Casini di certo non è un suddito, dico solo che arrivano dei momenti in cui uno deve decidere, ma – aggiunge – sono certo che l’Udc deciderà per il meglio. Non del Pd, ma dell’Italia». Bersani finisce la sua giornata intervenendo a un’iniziativa dei Moderati di Sinistra, lista ideata dal deputato torinese Giacomo Portas e già presente in molte realtà locali: obiettivo, dare vita alla quarta gamba del centrosinistra targato Bersani, e cioè con Pd, Sel e Psi.
Poi c’è Vendola, che ne ha per tutti: accusa Renzi di «trasformismo» e Casini di «tatticismi esasperanti», torna ad attaccare Monti e la riforma elettorale. Sul tema tuona anche il leader Idv, Di Pietro: invoca «un fronte comune per impedire l’assassinio della democrazia», ma è chiaro che il suo appello è rivolto a Grillo e alla sinistra radicale, non certo al Pd. Anche in questo campo, però, molto si muove. La ex Federazione della Sinistra (Prc-Pdci) è andata in pezzi: Paolo Ferrero, che guida Rifondazione comunista, guarda a Di Pietro e attacca sia Bersani che Grillo accusandoli di «difendere il Porcellum», mentre Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, annuncia che voterà Vendola al primo turno delle primarie, Bersani al secondo.
Per quel che riguarda la legge elettorale, lunedì si saprà se l’incontro tra gli sherpa porterà a un compromesso o si finirà al muro contro muro: ieri come mediatore tra due litiganti si è proposto anche Roberto Calderoli, padre dell’attuale Porcellum. Ma a preoccupare il Pd c’è anche il tema del paventato, da parte del governo, election day delle politiche di aprile con le regionali di Lazio, Lombardia e Molise. Idea che al Pd non piace affatto.
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